martedì 5 novembre 2013

Re Messèmi-gli-becca-'l-fumo, Imbriani (Novellaja Fiorentina)

'era una volta un omo che aveva tre figlioli. Si ammala e more quest'omo. I tre fratelli dicono: "Che si ha a fare?"
Dicono i due maggiori: "Facciamo le parti di questa roba, perchè noi si vole andare a girare il mondo."
Dice il minore: "Andate, ma io non ci vengo, io rimango con la me' gattina". I fratelli maggiori vanno via e quest'altro piglia la gatta e se ne fugge in una cantina. Quando gli è sul mezzogiorno, la gattina: "Aspettami, or'ora vengo - la dice. La va via e gli porta una bona minestra, un bel pezzo di lesso, un pezzo di pane e un pochino da bere. E questo ragazzo mangia e la gattina la gli dice di bel novo: "Aspettami, ora ritorno."
Poco distante da questa cantina c'era il palazzo d'il Re. La gattina principia a gnaulare: urli! gnau! ma urli! La servitù: "Che hai tu, gattina?"
"Mi fareste la carità - dice - il mio padrone gli è cascato in un fosso, di darmi un vestito?"
"Volentieri" - dicono. Vanno e gnene danno.
Dopo, poi, il giorno, la va e gnene riporta e li ringrazia. Dice uno della servitù: "Dimmi, gattina, chi è egli il tuo padrone?"
"Un gran signore", dice questa gattina. Dunque Maestà voleva sapere chi gli era. Un altro giorno la gattina la gli dice al ragazzo: "Aspettami.". Ogni giorno la gli portava da mangiare, la stessa minestra, lo stesso lesso, lo stesso pane e un pochino da bere. "Aspettami qui; or'ora ritorno". Principia a gnaulare, più che di quel giorno, ma urli! "Gnau! gnau! gnau!"
"Che vuoi, poerina, icchè tu hai?"
"Fatemi il piacere - dice - di prestarmi lo stajo. Il mio padrone ha bisogno di misurare de' quattrini." Gnene danno e la gattina va via.
I domestici vanno da Sua Maestà: "Questo e questo verte. Gli è venuto la gattina per lo stajo per misurare i quattrini: gli ha da essere un signore davvero."
Dice il Re: "Come la ritorna, vo' dovete dirgli: Sua Maestà bramerebbe di conoscere il suo padrone, avrebbe molto piacere."
Aveva la gattina una moneta di dieci paoli; va e la mette in fondo dello stajo; e gnene riporta. "Grazie" - dice.
I servitori vedon questa moneta: "Gattina! gattina! - dicono - guarda, ci è questa moneta!"
"Eh - dice - prendetela per voi. Il mio padrone non ci ha neppure osservato!..." "Senti, gattina; Sua Maestà ci ha detto, bramerebbe di fare amicizia col tuo padrone."
"Sissignori, come loro comandano. Non pensino, glielo condurrò."
Va alla cantina e dice:"Oh! che domani si deve andare da il Re! - dice - intendi bene!"
"Da il Re, io? O tu non vedi, son tutto stracciato, tutto rifinito? Com'è possibile ch'io possa venire?"
"Tu non devi trasgredire quel ch'io ti dico; altrimenti, ti graffio - la gli dice. - Oh senti! Tu vedrai al palazzo tutti tappeti, tutte ricchezze. Alza i piedi, sennò tu caschi. Vai franco con meco, sennò tu passi per un poero."
La batte la bacchettina fatata e lui vien vestito, non posso dire come, da andare da Sua Maestà: un abito bello. E vanno al palazzo. Subito corre parola che c'è questo. Sua Maestà va incontro a questo signore e lo fa passare nel suo quarto, nelle sue stanze. Quando gli è lì, discorre del più e del meno, sapete, di tante cose. "Ma Lei - dice il Re - avrà la sposa e i figli?"
Risponde la gattina: "Nossignore; è giovinotto."
Allora disse Maestà: "Ma si trattien molto, signore?"
"Eh, per qualche mese - rispose la gattina - si trattiene."
"Dica, signore, mi favorirebbe di stare a mangiare una zuppa da me?" - dice Maestà.
La gattina: "Sissignore - dice - gli accetta volentieri." Sempre la rispondeva lei.
Si trattiene un altro poco lì Sua Maestà, poi va di là e li lascia soli. La gattina dice: "Che non credi tu di mangiare come mangi nella cantina, che tu pari un lupo: gna, gna, gna. Ci sarà ogni bene di Dio. Tu devi mangiare di tutto, e poco di tutto."
"Ma se ho tanta fame, come io farò a mangià' poco?" dice lui alla gatta.
"Chètati, sennò ti graffio."
Andiamo all'ora di pranzo. Questo ragazzo gradiva di tutto, ma pochino mangiava, come gli aveva detto la gattina.
Diceva lui alla gattina: "Gatta, i me' cenci!" chè gli stava meglio alla cantina che lì, e lui insisteva.
"Chètati, ch'io ti graffio!"
Dice Maestà: -"Cosa dice il tuo padrone?"
"Eh dice: Gran bone pietanze che son queste! Nel suo paese non si fanno."
Finito che fu il pranzo "Oh senta - dice Maestà - oh si degnerebbe di rimanere anche stasera da noi a dormire? due o tre giorni? Mi fa un regalo!"
Lui guarda la gattina, che risponde: "Sissignore, come Lei comanda. Quanto gli sarà di piacere, noi ci staremo."
Maestà dà ordine ai servitori che mettan le lenzola le più grosse, le più ordinarie, che sieno nel palazzo. "Perchè - dice - se gli è un signore, non entra nel letto. Se gli è un poero, non gli par vero; che sta a guardare le lenzola?" Così fu fatto. La sera, quand'è l'ora di andare a letto, la gattina entra in camera con lui, va e scopre il letto. "Che tu non entri nel letto, sai, stasera!"
"Lasciami andare! Gli è tanti mesi che io dormo nella cantina, che non mi par vero!"
"Ti dico che tu non entri!..." - e lo graffia. Questo ragazzo si mette sur una poltrona e dorme. Venghiamo alla gattina che non era fatto giorno: "Gnau! gnau!" per il palazzo, urla che la buttava giù il palazzo. I servitori s'alzano: "Cos'hai, gattina, cosa c'è?"
"Cosa c'è, eh? per chi gli avete preso il mio padrone? - dice. - A mettergli quelle lenzola! Ha dovuto restare su d'una poltrona tutta la notte!"
I servitori corrono da Maestà: "Maestà, questo e questo è stato con quelle lenzola!". Maestà dice da sè: "Gli ho detto ch'era un signore! Ed io gli voglio dare mia figlia in isposa."
Aveva una figlia. Dà ordine ai servitori che la sera le più sopraffine lenzola, quelle di tela che rimangono in un pugno gli fossero messe nel letto a questo ragazzo:
"E voi starete attenti domattina se il letto gli è arruffato, se gli è com'egli v'è entrato. Se gli è un signore, il letto è quasi tocco punto."
Eccoti la sera vanno in camera e la gattina va a guardare il letto: "Oh stasera entrerai nel letto. Ma bada bene, se tu ti movi, ti graffio in una maniera - dice - che quasi tu hai a morire!" Figuratevi, gli entra nel letto, poero figliolo, se anche si moveva nel sonno, e il sonno fa fare degli scossoni, la lo graffiava, ma come! Tutta la notte fu sveglio: gua'! non poteva dormire. La mattina i servitori vanno a vedere se gli occorreva qualcosa, cioccolata o caffè, quel che gli fosse occorso, e vedono il letto senza toccare neppure. Vanno da Maestà: "Se la vedesse, Maestà, non par neppure che gli abbia toccato il letto."
Risponde il Re: "Ve l'ho detto, eh, che era un signore?"
E dice da sè: "Oggi io parlo di matrimonio assolutamente."
Venghiamo all'ora del pranzo. Il Re lo fa discorrere questo ragazzo del più e del meno; gli entrava sempre sul matrimonio:
"Via, si accaserebbe Lei volentieri?" - dice Maestà a questo signore.
Risponde la gattina: "Se trovasse una ragazza per bene, una sua pari, volentierissimo s'accaserebbe."
Risponde Maestà: "Non fo per lodare mia figlia; ma se non gli dispiacesse, io gnene darei volentieri. Può star sicuro, è una ragazza per bene, come Lei brama." Lui sapeva d'essere tanto poero, non sapeva quel che dire, gua'. La gattina la gli fa che dicesse di sì: "Quando Lei fosse contento, Maestà - dicono tanto lui che la gattina - volentierissimo nojaltri si farebbe questo passo."
Eccoti, per farla corta, questa ragazza la la mandano a chiamare, perchè lei la stava su; e gli dice Maestà: "Vedi? Questo è il vostro sposo."
"Come Lei comanda, signor Padre!" Di certo, gua', la non aveva volontà. Loro penarono poco a conchiudere le nozze e forse entro la settimana fu fatto lo sposalizio. Dunque eccoti che si trattennero forse un altro mese quaggiù da Sua Maestà. Poi gli dice la gattina: "Sa bene - gli dice - il su' genero gli è un Re anche lui. È un pezzo che manchiamo dal nostro posto; e quando non c'è il Re, i sudditi han sempre da dire."
Risponde Maestà: "Hai ragione, poerina; e così è di me, sai? Nella settimana partirete... partiremo, perchè vengo anch'io ad accompagnarla la mia figliola."
Maestà va nel suo quartiere; rimangono la gatta e il ragazzo soli.
"Ma dimmi un po', indove la vuoi tu condurre questa sposa? nella cantina?" - la gli dice questo giovane, gua'.
Lei gli dice: "Chètati, sennò ti graffio. Te, non ci devi pensare."
Quando gli è il giorno di partire, la gattina batte la bacchetta magica e gli viene tutte queste belle strade, tutte palazzi e ville. Maestà chiedeva: "Di chi sono tutte queste ville?".  Le genti dicevano: "Di Re Messèmi-gli-becca-'l-fumo."
Eccoti partono con le carrozze tutte a otto e dieci cavalli; e lei si mette a cavallo vestita da fantino, la gattina. Gli sposi col padre entrano in carrozza e via. E per quante strade di lì fin che fossero al posto, tutti replicavano: "Ma di chi sono queste ville?", ed essa rispondeva: "Del Re Messèmi-gli-becca-'l-fumo."



E tutte le genti che si domandava, sempre ripetevano così. Arrivarono al palazzo. Da quanto era bello questo palazzo! l'architettura, tutte le mura, tutte pietre preziose. Principiando dalle scale, tappeti, lumiere, una cosa che sorprendeva. E servitori! Urlando tutti: "Evviva gli sposi! Evviva gli sposi!"
Il padre si trattiene otto o dieci giorni in questo bel palazzo, fra queste belle robe, dicendo: "Che sorte è stata questa per la me' figliola! Che signore è questo!- Fra sè diceva: - Io mojo contento per avere accasato una figlia a questa maniera."
Eccoti il giorno viene: "Io domani parto, non posso fare di meno, gua'!"
La mattina all'ora fissata "Addio!"
"Addio!"
Bacia la figliuola: "Ci scriveremo!" E va via, e torna al suo posto.
Venghiamo agli sposi che ogni giorno di bene in meglio, di bene in meglio, sempre più cresceva l'abbondanza. Un giorno la dice la gattina allo sposo:
"Avrei bisogno di parlarti in disparte."
"Quando tu vuoi. Quando ho finite le mie occupazioni, io verrò da te e sarò a sentire quel che tu vuoi."
Quando ebbe finito quel che doveva fare, eccoti, va di là dalla gattina:
"Cosa vuoi da me?"
"Ora, aspetta un po'! - e serra tutti gli usci, bussole, - Voleva sapere una cosa da te; ma bada di dirmi la verità!"
"Te lo giuro. Dimmi, cos'è questo che mi vuoi domandare?"
Dice: "Abbi da sapere che io son vecchia."
"Ebbene?" - dice il ragazzo.
"Eh sai bene che più che vecchia non si campa. Un giorno io devo morire. Tu vedi il bene che io t'ho fatto. Se io morissi, cosa faresti di me?"
"Ah! Ah! - si mette a piangere questo sposo. - Ahi! Ahi! non discorriamo di queste cose! - dice piangendo - Ah! non mi affliggere!"
Dice la gattina: "Non credo di affliggerti. Voglio sapere quel che tu faresti di me."
"Ahn, che vuoi? - sempre piangendo questo ragazzo - non ci posso pensare! Ma che vuoi ch'io ti facessi? Ti farei una custodia tutta soda d'oro e d'argento."
Dice la gattina: "Davvero?"
Risponde lui: - «Davvero. Ma non discorriamo di queste cose.»
«Ah» - la dice - «adesso non voglio altro; se vuoi andare, puoi andare.»
Lascia passare un tempo questa gatta, oh! anche più d'un anno. Una notte che ti fa? per tutti i tappeti e la meglio roba, con rispetto, la va di corpo. Con rispetto, vòmita per tutta la roba, quanta ce n'era, con un fetore insopportabile. E poi, nel quartiere bono, lei tutta sparata la si butta distesa morta. Venghiamo alla mattina che i servitori s'alzano per pulire e sentono un fetore, una cosa insopportabile. Apron le finestre e vedon tutta la roba straziata. Vanno nel salotto bono e vedon la gattina, tutta distesa lì, sparata, e sciupato ogni cosa.
«Noi non abbiamo colpa» - dicon tra loro. - «Si dirà a Maestà, Maestà vedrà, ma noi non ci s'ha colpa.»
Nell'ora in cui Sua Maestà s'alza e quando sorte dalla stanza e sente questo fetore: - «Cos'è stato? cosa non è stato?»
I servitori dicono: - «Maestà venga a vedere.»
E lo conducono nel salotto a vedè' la gattina tutta sparata; tutto conciato ogni cosa. Dice lui: - «Oh porca sudicia! Prendetela e buttatela in Arno!»
Non aveva detta questa parola e si trovò giù nella cantina, con la sposa accanto e senza mangiare nè nulla. Dunque lui fu costretto a scrivere al padre della moglie la disgrazia seguita, che mandasse a prender sua figlia perchè lui era ritorno un poero meschino. Il padre sente questo e manda a prendere la figliola e la fa tornare lassù nel palazzo. E lui rimase poero; e in capo a poco tempo credo che morisse di fame e di rimorso.

In santa pace pia,
Dite la vostra,
che ho detto la mia.

Da "LA Novellaja Fiorentina", n.10.

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