mercoledì 20 novembre 2013

Virgilio Mago - Prima Parte


"Come Virgilio divenne un Negromante - Soggiorno a Roma: la Beffa della Figlia del Cavaliere - La Fuga a Napoli"


Flint W.R.


Si narra che Virgilio, al tempo della sua giovinezza, fosse entrato nella città che stava dentro il monte Barbaro, con un suo discepolo di nome Filomeno, poiché voleva chiarimenti sui miracoli di quella città e dei miracoli operati dal  filosofo Chironte. In quel luogo trovò la sepoltura di quel filosofo, e prese da sotto la sua testa un libro, poggiato a mo' di cuscino, da cui apprese la negromanzia e le altre scienze magiche. Venuto a  Roma, Virgilio si innamorò di una donna, figlia di un famoso cavaliere, senza esserne contraccambiato. Anzi, la fanciulla riferì al padre delle attenzioni di Virgilio; e questi decise di ridicolizzare il poeta, di modo che non infastidisse più la figlia. Per cui, d'accordo con la figlia, ordinò ad un servo di riferire a Virgilio che la ragazza era pronta ad incontrarsi con lui; essendo, però, la porta del palazzo chiusa, doveva entrare in una cesta che sarebbe stata issata fino alla finestra della torre, dove alloggiava la ragazza. Giunto il giorno stabilito, Virgilio si recò sul luogo e, entrato nella cesta come convenuto, fu tirato su, ma solo fino a metà altezza della torre, e lì rimase fino alla mattina dopo, quando i Romani, vedendolo, presero a sbeffeggiarlo. Tirato giù dopo molto tempo, Virgilio subito cominciò a meditare la vendetta. Per cui fece mancare il fuoco a tutti i cittadini, i quali presero a lamentarsi con l'Imperatore.
Quest'ultimo mandò a chiamare Virgilio e lo pregò di restituire un bene così prezioso alla città. Allora Virgilio disse che avrebbe acconsentito alla preghiera del suo Imperatore solo se fosse venuto il cavaliere che lo aveva schernito con la figlia; quest'ultima doveva restare con le pudende scoperte, e coloro che volevano il fuoco dovevano andarlo a prendere fra le gambe della donna. All'Imperatore ciò rincresceva molto, ma non aveva altra scelta, per cui mandò a chiamare il cavaliere e lo pregò, per il bene della città, di acconsentire alla richiesta. Il cavaliere acconsentì a malincuore, e fece disporre la figlia così come voleva Virgilio. Tutti coloro che andavano a prendere il fuoco cercavano di passarlo anche agli altri, ma, appena veniva fatto questo tentativo, si spegnevano entrambi i fuochi, per cui la donna rimase in questo stato per molti giorni, prima che tutti i Romani, singolarmente, fossero andati a rifornirsi di quel bene.






Quando tutta la città di Roma fu rifornita di fuoco, la donna fu rimandata a casa e il cavaliere cominciò a meditare la vendetta contro Virgilio, che lo aveva ricoperto di ridicolo. L'Imperatore, pur comprendendo le ragioni di Virgilio, fu costretto a farlo imprigionare per non fare un torto al cavaliere. Virgilio pensò, comunque, di fuggire da quella prigione, e un giorno, mentre era nel cortile circondato da mura, disegnò una barca e chiese agli altri prigionieri se volevano fuggire con lui.
Alcuni, per prenderlo in giro, accettarono di andare con lui e, entrati nella sagoma della nave da lui tracciata, Virgilio dette loro dei remi, mentre lui stesso si situò a poppa dicendo: "Quando darò l'ordine di remare, ognuno di noi inizi a remare senza indugio, e vi tirerò fuori di qui".
Non appena diede l'ordine e i prigionieri cominciarono a remare, la nave si levò in aria, mentre tutti coloro che non avevano voluto entrarvi presero a lamentarsi. Dopo un po' di tempo, Virgilio fece scendere la nave e atterrarono nel luogo che aveva scelto. Uscito dalla nave, Virgilio prese commiato dai suoi compagni, mentre la nave si dissolveva, e, separatasi da loro, si incamminò verso Napoli. 

Magie di Virgilio a Napoli 

Giunto a Napoli e estasiato dall'aria che lì si respirava e dal paesaggio che la circondava, decise di fermarsi e di comporvi le sue opere. Ma, poiché per la presenza di paludi la città era sempre piena di mosche, ed erano tante che il più delle volte causavano anche la morte, Virgilio, per il grande affetto che nutriva verso quella città e verso i suoi abitanti, con le sue arti magiche costruì una mosca d'oro della grandezza di una rana e, grazie ad essa, tutte le mosche che c'erano in quella città fuggirono. Quando quella mosca fu tolta dal posto in cui era stata collocata e fu portata nel Castello di Cicala, perse il suo magico potere.



Anderson S.


Allo stesso modo fece costruire anche una sanguisuga, la quale fu gettata in un pozzo e da quel momento tutte le sanguisughe della città di Napoli, che pure abbondavano, scomparvero dalle acque.
Fece forgiare anche un cavallo di metallo, alla cui sola vista qualsiasi cavallo malato sarebbe guarito. Ma i maniscalchi di Napoli, dal momento che non traevano più guadagni dalla cura dei cavalli infermi, di notte si recarono sul luogo dov'era questo cavallo e gli fecero un buco nel ventre. Così il cavallo perse tutte le sue virtù, per cui nel 1322 fu fatto fondere e il metallo venne adoperato per la costruzione delle campane della Chiesa Maggiore di Napoli.






Si crede che piazza Capuana porti l'emblema di questo cavallo, un cavallo d'oro senza briglie.
Per questo motivo, quando Carlo I entrò nella città di Napoli, e vide questo emblema e un cavallo nero a piazza Nilo, anch'esso senza briglie, ordinò che fossero scritti questi versi:

"Il re giusto di Napoli doma questo cavallo, 
e agli uomini senza freni prepara le briglie del freno"

Quando i cittadini di Napoli non potevano quasi più dormire la notte per il continuo canto delle cicale, tanto grande era infatti il loro numero e il conseguente baccano, Virgilio costruì una cicala di rame e la legò a un albero con una catenella. Da quel giorno non si sentì più il fastidioso canto delle cicale e per lungo tempo i cittadini godettero di questo vantaggio.

Volendo venire in aiuto di coloro che molto spesso erano costretti a comprare carne non fresca, perché il più delle volte puzzava a causa dell'Austro, che la faceva andare a male, Virgilio fece appendere diversi pezzi di carne all'arco di ingresso della piazza del Mercato Vecchio, dove all'epoca c'era il mercato della carne. Grazie a questo nuovo prodigio, tutta la carne che restava invenduta si poteva conservare per più di sette settimane senza che si imputridisse, e la carne salata si conservava anche per più di tre anni.

La città di Napoli era esposta ad una grossa jattura nel mese di Aprile: il Favonio, quando soffiava forte, distruggeva infatti le fronde e i fiori e i teneri frutti degli alberi. Si narrava infatti che ai confini della città di Napoli ci fosse un monte altissimo, e che si affacciava sulla Terra di Lavoro. Questo monte erutta in questo periodo un fumo nerissimo misto a cenere ardente e legna bruciata. Molti asseriscono che quella sia la bocca dell'Inferno. Il vento portando con sé il caldo pulviscolo brucia tutti i frutti e rende la terra secca e arida. Sotto certi segni e con particolari congiunzioni dei pianeti, Virgilio fece forgiare un'immagine di rame, con in bocca una tromba, che percossa o colpita dal detto Favonio faceva alzare un altro vento contrario che lo scacciava. In questo modo gli alberi e i frutti crescevano senza subire alcun danno e giungevano a perfetta maturazione.

Tratto da "Virgilio Mago" di Erberto Petoia basato su:

"Otia Imperalia", Gervasio di Tilbury 
"Cronica di Partenope" 
"Aliprandina"o "Cronica di Mantua"

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