venerdì 7 giugno 2013

Il Compleanno dell'Infanta - O.Wilde, Versione integrale

Velazquez D.



ra il compleanno dell'Infanta. Ella aveva dodici anni precisi, e il sole splendeva luminoso nei giardini del palazzo. Per quanto la Principessa del Sangue e Infanta di Spagna, aveva solo un compleanno ogni anno, proprio come i bambini dei poveri, e dunque era naturalmente questione di grande importanza per tutto il paese che l'occasione coincidesse con una giornata veramente perfetta. Così, infatti, avvenne. Gli alti tulipani striati si rizzavano rigidi sui gambi, come lunghe file di soldati, e guardavano con aria di sfida le rose attraverso l'erba, e dicevano: "Non siamo affatto meno stupendi di voi". Le farfalle purpuree svolazzavano qua e là con polvere d'oro sulle ali, visitando a turno ciascun fiore; le piccole lucertole strisciavano fuori dalle fessure del muro, e se ne stavano distese a crogiolarsi nel bianco riverbero; e i melograni si aprivano e si spaccavano per il caldo, e mostravano il rosso cuore sanguinante. Perfino i pallidi limoni gialli, che pendevano in tale abbondanza dai pergolati cadenti e lungo i vialetti scuri, sembravano aver carpito un colore più ricco alla meravigliosa luce del sole, e le magnolie aprivano i loro grandi globi di fiori d'avorio scanalato, e riempivano l'aria di un profumo dolce e pesante.


Morgan J.M


Quanto alla piccola Principessa, lei percorse in su e in giù il terrazzo con i suoi compagni, e giocò a nascondino intorno ai vasi di pietra e alle vecchie statue coperte di muschio. Nei giorni normali aveva il permesso di giocare solo con i bambini del suo rango, e perciò doveva sempre giocare da sola, ma il suo compleanno faceva eccezione, e il Re aveva dato ordine che la Principessa invitasse chiunque fra i suoi giovani amici avesse in simpatia, a venire a divertirsi con lei. C'era una grazia solenne in questi snelli fanciulli spagnoli che planavano qua e là, i ragazzi coi loro cappelli dai grandi pennacchi e i corti mantelli svolazzanti, le bambine sollevandosi lo strascico delle lunghe vesti di broccato, e schermendosi il sole dagli occhi con ampi ventagli di nero e argento. Ma l'Infanta era la più graziosa di tutti, nonché quella abbigliata con più gusto, secondo l'alquanto ingombrante moda dell'epoca. La sua veste era di raso grigio, con la gonna e le ampie maniche a sboffi coperte di pesanti ricami d'argento, e il corsetto rigido tempestato di file di perle purissime. Quando camminava due pantofoline con grandi nappine rosa si affacciavano sotto al vestito. Rosa e perla era il suo grande ventaglio di garza, e nei capelli, che come un'aureola di oro stinto si ergevano rigidi intorno al suo faccino pallido, aveva una bellissima rosa bianca. Da una finestra del palazzo li osservava il triste, malinconico Re. Aveva dietro di sé suo fratello, Don Pedro d'Aragona, che detestava, e seduto accanto il suo confessore, il Grande Inquisitore di Granada. Il Re era anche più triste del consueto, perché guardando l'Infanta inchinarsi con fanciullesca gravità ai cortigiani riuniti, o ridere dietro il ventaglio alla cupa Duchessa di Albuquerque, che sempre l'accompagnava, pensava alla giovane Regina, sua madre, che appena poco tempo prima - così gli sembrava - era giunta dal gaio paese di Francia, e si era appassita nel mesto splendore della Corte di Spagna, morendo appena sei mesi dopo la nascita della piccola, e prima di aver visto fiorire due volte i mandorli nel frutteto, o di aver colto per il secondo anno i frutti del vecchio fico contorto che si ergeva al centro del cortile ora coperto di erba. Tanto grande era stato il suo amore per lei, che non aveva sopportato di vedersela nascosta nemmeno dalla tomba. La Regina era stata imbalsamata da un medico moro, che un cambio dei suoi servigi aveva avuto concessa la vita, già condannata per eresia e sospetto di pratiche magiche, si diceva, dal Sant'Uffizio, e il suo corpo giaceva ancora sul feretro coperto di arazzi nella cappella di marmo nero del palazzo, proprio come i monaci l'avevano deposto quel ventoso giorno di marzo quasi dodici anni prima. Una volta al mese il Re, avvolto in un manto scuro e con una lanterna cieca in mano, andava a inginocchiarsi accanto a lei esclsmando,"Mi reina! Mi reina!" e, talora, rompendo l'etichetta formale che in Spagna governa ogni singolo atto della vita, e pone limiti perfino al dolore di un sovrano, stringeva le pallide mani ingioiellate in una folle agonia di dolore, e tentava di ridestare con i suoi folli baci il freddo viso affilato. Oggi gli sembrava di rivederla, come l'aveva vista per la prima volta al castello di Fontainebleau, quando aveva appena quindici anni, e lei ancora meno. Erano stati formalmente fidanzati in quell'occasione dal Nunzio Papale alla presenza del re francese e di tutta la Corte, e lui era tornato all'Escorial recando seco una piccola ciocca di capelli gialli, e il ricordo di due labbra infantili chine a baciargli la mano mentre risaliva nella sua carrozza. In seguito c'era stato il matrimonio, officiato in fretta a Burgos, cittadina sulla frontiera tra i due paesi, e il grande ingresso pubblico a Madrid con la consueta celebrazione di messa solenne alla chiesa di La Atocha, e un auto-da-fé ancora più solenne del consueto, durante il quale quasi trecento eretici, fra i quali molti Inglesi, erano stati consegnati al braccio secolare per essere arsi. Quando morì fu, per qualche tempo, come privo del senno. Veramente, non c'è dubbio che avrebbe formalmente abdicato e si sarebbe ritirato nel grande monastero trappista di Granada, del quale era già Priore titolare, se non avesse temuto di lasciare la piccola Infanta alla mercé di suo fratello, la cui crudeltà, perfino in Spagna, era notoria, e che molti sospettavano di aver provocato la morte della Regina mediante unn paio di guanti avvelenati di cui le aveva fatto omaggio in occasione della visita di lei al suo castello di Aragona. Neanche dopo il termine dei tre anni di pubblico lutto che aveva ordinato con editto reale per tutti i suoi domini tollerò mai che i suoi ministri parlassero più di qualsivoglia nuova unione, e quando l'Imperatore stesso gli mandò messi, e gli offrì la mano dell'incantevole Arciduchessa di Boemia, sua nipote, incaricò gli ambasciatori di dire al loro padrone che il Re di Spagna era già sposato con il Dolore, e che benché si trattasse di una sposa sterile, l'amava più della Bellezza; risposta che costò alla sua corona le ricche province dei Paesi Bassi, che poco dopo, dietro istigazione dell'Imperatore, gli si rivoltarono contro sotto la guida di alcuni fanatici della Chiesa riformata. Tutta la sua vita coniugale, con le sue feroci gioie color fiamma e la terribile agonia della sua fine improvvisa, sembrava tornargli davanti oggi mentre guardava l'Infanta intenta a giocare sul terrazzo. Ella aveva tutta la graziosa petulanza di modi della Regina, lo stesso gesto capriccioso con cui gettava il capo all'indietro, la stessa bocca fiera, curva, bella, lo stesso meraviglioso sorriso - vrai sourire de France, davvero - quando alzava il capo ogni tanto a guardare la finestra, o tendeva la manina al bacio dei solenni gentiluomini spagnoli. Ma il riso acuto dei bambini strideva alle sue orecchie, e la vivace, spietata luce del sole si prendeva gioco del suo dolore, e un tedioso odore di spezie strane, quali usano gli imbalsamatori, sembrò sciupare - o era fantasia?- la limpida aria del mattino. Seppellì il viso tra le mani, e quando l'Infanta tornò ad alzare il capo le tende erano state accostate, e il Re si era ritirato. L'Infanta fece una moue di disappunto, e si strinse nelle spalle. Certo avrebbe potuto restare con lei, il giorno del suo compleanno. Che importanza avevano gli stupidi affari di Stato? O se n'era andato in quella sinistra cappella, dove le candele bruciavano in eterno, e dove lei non aveva mai il permesso di entrare? Che sciocco da parte sua, quando il sole splendeva così luminoso, e tutti erano tanto felici! E poi, si sarebbe perso la corrida burlesca che la tromba andava già annunciando, per non dire nulla dello spettacolo di fantocci e delle altre cose meravigliose. Suo zio e il Grande Inquisitore avevano molto più buon senso. Erano usciti sul terrazzo, e le avevano fatto dei bei complimenti. Così gettò indietro la graziosa testolina, e prendendo per mano Don Pedro, scese lentamente le scale diretta verso un lungo padiglione di seta purpurea che era stato eretto in fondo al giardino, seguita dagli altri bambini in rigido ordine gerarchico, per primi venendo quelli dai nomi più lunghi.Una processione di ragazzi nobili, fantasticamente vestiti da toreador , le uscì incontro, e il giovane Conte di Tierra-Nueva, quattordicenne dalla meravigliosa bellezza, scoprendosi il capo con tutta la grazia di un hidalgo di nascita e Grande di Spagna, la guidò solennemente fino a una seggiolina d'oro e d'avorio collocata su di una pedana sollevata sopra l'arena. I bambini si raggrupparono tutt'intorno, agitando i grandi ventagli e scambiando sussurri, e Don Pedro e il Grande Inquisitore si fermarono ridendo all'ingresso. Nemmeno la Duchessa - la Camarera-Mayor , come la chiamavano - donna magra, dai tratti duri, e con una gorgiera gialla, aveva l'aria irritabile che le era consueta, e qualcosa di simile a un gelido sorriso le fluttuava per il viso grinzoso e le contraeva le sottili labbra esangui.Certo fu una corrida meravigliosa, e molto più gradevole, pensò l'Infanta, della corrida vera che era stata condotta a vedere a Siviglia, in occasione della visita del Duca di Parma a suo padre. Alcuni dei ragazzi caracollavano qua e là su cavalli a dondolo riccamente bardati, brandendo lunghi giavellotti dai gai filamenti di nastri colorati; altri andavano a piedi, agitando i manti scarlatti davanti al toro, e scavalcando con balzi leggeri la barriera quando questi li caricava; e quanto al toro, era in tutto simile a un toro vivo, anche se era fatto solo di vimini e pelle tesa, e a volte insisteva a correre intorno all'arena sulle zampe posteriori, cosa che nessun toro vivo si sogna mai di fare. Combattè in modo stupendo, anche, e i bambini si eccitarono tanto che salirono in piedi sulle panche, e agitarono i fazzoletti di merletto e gridarono: Bravo toro! Bravo toro! proprio come fossero stati degli adulti. Da ultimo, tuttavia, dopo un combattimento prolungato durante il quale parecchi cavalli a dondolo erano stati trafitti più volte, e i loro cavalieri disarcionati, il giovane Conte di Tierra-Nueva fece inginocchiare il toro, e avendo ottenuto dall'Infanta il permesso di dargli il colpo di grazia, conficcò la sua spada di legno nel collo dell'animale con tal violenza da spiccarne il capo di colpo, scoprendo il viso ridente del piccolo Monsieur de Lorraine, figlio dell'Ambasciatore di Francia a Madrid. L'arena era stata sgomberata fra grandi applausi, e i cavalli a dondolo morti trascinati solennemente via da due paggi mori in livrea gialla e nera, e dopo un breve intermezzo, durante il quale un funambolo francese si era esibito sul filo, dei fantocci italiani apparvero nella tragedia semiclassica di Sofonisba sul palcoscenico di un piccolo teatro che era stato costruito allo scopo. Costoro recitarono così bene, e i loro gesti furono di una naturalezza così estrema, che alla chiusa del lavoro gli occhi dell'Infanta erano completamente offuscati dalle lacrime. Veramente alcuni bambini piansero sul serio, e dovettero essere consolati con dei dolcetti, e il Grande Inquisitore stesso fu così colpito che non poté fare a meno di dire a Don Pedro che gli sembrava intollerabile che delle cose fatte semplicemente di legno e cera colorata, e animate meccanicamente da fili, dovessero essere così infelici e incontrare disgrazie così terribili. Seguì un giocoliere africano, che portò un grande paniere piatto coperto da un panno rosso, e avendolo collocato al centro dell'arena, si tolse dal turbante una curiosa zampogna di canna, e vi soffiò dentro. Poco dopo il panno cominciò a muoversi, e via via che la musica si faceva più stridula due serpenti verdi e oro affacciarono lo strano capo a cuneo e si sollevarono lentamente dondolando avanti e dietro alla musica come una pianta dondola nell'acqua. I bambini però si spaventarono alquanto dei loro cappucci maculati e delle loro rapide linguine saettanti, e furono molto più contenti quando il giocoliere fece spuntare dalla sabbia un piccolo albero di aranci, da cui sbocciarono graziosi fiorellini bianchi e grappoli di frutta vera; e quando prese il ventaglio della figlioletta del Marchese di Las Torres, e lo mutò in un uccello azzurro che volò per tutto il padiglione e cantò, il loro piacere e la loro meraviglia non ebbero più l importanza per tutto il paese c eseguito dai ragazzi ballerini della chiesa di Nuestra Senora del Pilar fu incantevole. L'Infanta non aveva mai visto questa cerimonia meravigliosa che si svolge ogni anno in maggio davanti all'altare maggiore della Vergine, e in suo onore, e in realtà nessuno della famiglia reale di Spagna era entrato nella grande cattedrale di Saragozza da quando un prete pazzo, che molti avevano ritenuto al soldo di Elisabetta d'Inghilterra, aveva tentato di somministrare un'ostia avvelenata al Principe delle Asturie. Così aveva conosciuto solo per sentito dire la 'Danza di Nostra Signora', come la chiamavano, e certo era un bello spettacolo. I ragazzi indossavano antiquati abiti di Corte di velluto bianco, e i loro curiosi cappelli a tre punte erano frangiati d'argento e sormontati da grosse penne di struzzo, l'abbacinante biancore dei loro costumi, come si muovevano qua e là alla luce del sole, veniva ancora più accentuato dai loro visi scuri e dai lunghi capelli neri. Tutti rimasero affascinati dalla grave dignità con cui si muovevano attraverso le intricate figure della danza, e dalla grazia elaborata dei loro gesti lenti, e dalle solenni riverenze, e quando ebbero terminato la loro esibizione e si furono tolti i grandi cappelli piumati rivolti all'Infanta, ella rispose al loro omaggio con molta cortesia, e fece voto di mandare una grande candela di cera al santuario di Nuestra Senora del Pilar in cambio del piacere che ella le aveva dato. Una troupe di begli egiziani - come gli zingari si chiamavano in quei giorni - avanzò quindi nell'arena, e sedutasi a gambe incrociate, in cerchio, iniziò a suonare piano sulle cetre, muovendo i corpi alla melodia, e accennando a bocca chiusa, quasi sussurrando, un'aria bassa e sognante. Quando videro Don Pedro gli fecero una smorfia, e alcuni mostrarono spavento, perché solo poche settimane prima costui aveva fatto impiccare due della loro tribù per stregoneria sulla piazza del mercato di Siviglia, ma la graziosa Infanta li incantò quando si appoggiò all'indietro sbirciando sopra il ventaglio coi grandi occhi azzurri, e gli zingari furono certi che una fanciulla così graziosa non avrebbe mai mostrare crudeltà verso nessuno. Così continuarono a suonare molto delicatamente e toccarono appena le corde delle cetre con le lunghe unghie appuntite, e le loro teste cominciarono a chinarsi come in un sonno incipiente. All'improvviso, con un grido così acuto che tutti i bambini trasalirono, e la mano di Don Pedro afferrò il pomo d'agata del suo pugnale, balzarono in piedi e turbinarono follemente nel recinto percuotendo i tamburelli, e cantando un selvaggio canto d'amore nel loro strano idioma gutturale. Poi a un altro segnale, tutti si scaraventarono nuovamente a terra e vi giacquero immobili, con l'unico suono delle sorde vibrazioni delle cetre a spezzare il silenzio. Avendo fatto ciò diverse volte, scomparvero per un momento e tornarono conducendo alla catena un orso bruno e irsuto, e portando sulle spalle delle scimmiette di Berberia. L'orso si drizzò sulla testa con la massima gravità, e le scimmie grinzose fecero ogni sorta di scherzo divertente con due zingarelli che sembravano i loro padroni e si batterono con delle minuscole spade, ed eseguirono esercitazioni da soldati regolari proprio come la guardia personale del Re. Gli zingari ebbero davvero un gran successo. Ma la parte più buffa di tutto l'intrattenimento fu senza dubbio la danza del piccolo Nano.


Velazquez D.

Quando questi entrò barcollando nell'arena, ondeggiando sulle gambette storte e agitando il testone enorme da un lato all'altro, i bambini emisero un forte grido di piacere, e l'Infanta rise tanto che la Camarera fu costretta a ricordarle che benché ci fossero molti precedenti in Spagna di una figlia di Re che piangesse davanti ai suoi pari, non ve n'era alcuno per una Principessina di sangue reale che si abbandonasse all'allegria davanti a chi le era inferiore per nascita. Il Nano peraltro era assolutamente irresistibile, e nemmeno alla Corte di Spagna, sempre segnalatasi per la sua coltivata passione dell'orribile, si era mai visto un mostricciattolo così assurdo. Era anche la sua prima apparizione. Era stato scoperto solo il giorno precedente, mentre correva selvaggiamente per la foresta, da due nobili cui era capitato di trovarsi a caccia in una parte remota del gran bosco di sugheri che circondava la città, ed era stato portato da loro al Palazzo come sorpresa per l'Infanta; il padre era un povero carbonaio, era parso anche troppo contento di liberarsi di un figlio così brutto e inutile. Forse la cosa più divertente sul suo conto era la sua totale mancanza di consapevolezza del proprio aspetto grottesco. Veramente sembrava del tutto felice, e pieno di grande euforia. Quando i bambini ridevano, rideva non meno liberamente né gioiosamente di chiunque di loro, e alla chiusa di ogni danza rivolgeva a ciascuno gli inchini più ridicoli, sorridendo e salutandoli col capo proprio come se in realtà fosse stato uno di loro anche lui, e non un piccolo oggetto deforme che la Natura, in qualche umore balzano, aveva foggiato per il trastullo degli altri. Quanto all'Infanta, ella lo affascinava assolutamente. Non riusciva a distogliere gli occhi da lei, e sembrava danzare per lei sola, e quando al termine della sua esibizione, ricordando di aver visto le grandi dame di Corte gettare mazzolini di fiori a Caffarelli, il famoso soprano italiano, che il Papa aveva mandato a Madrid dalla sua cappella personale onde potesse curare la malinconia del Re con la dolcezza della sua voce, ella si tolse dai capelli la bella rosa bianca e, un po' per gioco, un po' per far arrabbiare la Camarera, gliela gettò attraverso l'arena col più dolce dei suoi sorrisi. Il Nano prese assolutamente sul serio la faccenda, e premendosi il fiore alle labbra ruvide e dure, si mise la mano sul cuore, e sprofondò in ginocchio davanti a lei, sorridendo da un orecchio all'altro, con gli occhiettini vivaci che scintillavano di piacere. Questo sconvolse a tal punto la gravità dell'Infanta, che lei stessa continuò a ridere molto tempo dopo che il piccolo Nano era corso via dall'arena, ed espresse allo zio il desiderio di assistere immediatamente alla ripetizione della danza. La Camarera, tuttavia, osservando che il sole era troppo caldo, declse che sarebbe stato meglio se sua Altezza fosse rientrata senza indugio a Palazzo, dove un meraviglioso banchetto era già stato approntato per lei, completo di una vera torta di compleanno con le sue iniziali impresse dappertutto in zucchero colorato e con una graziosissima bandierina d'argento a sventolare sulla cima. Di conseguenza l'Infanta si alzò con gran dignità, e avendo dato ordine che il Nanetto danzasse nuovamente per lei dopo l'ora della siesta, e avendo espresso la sua gratitudine al giovane Conte di Tierra-Nueva per la sua incantevole accoglienza, tornò ai suoi appartamenti, seguita dai bambini nello stesso ordine in cui erano entrati.
Ora quando il piccolo Nano seppe che avrebbe dovuto danzare una seconda volta davanti akll'Infanta, e dietro espresso ordine di lei, fu talmente fiero che uscì di corsa nel giardino, coprendo di baci la rosa bianca in un'assurda estasi di piacere, e facendo i più incongrui e goffi gesti di contentezza.
I Fiori si indignarono assai della temerarietà con cui costui invadeva la loro bella dimora, e quando lo videro eseguire capriole su e giù per i vialetti, e agitare le braccette sul capo in modo così ridicolo, non si trattennero più.
"E' veramente troppo brutto per consentirgli di giocare in un luogo dove ci troviamo noi" gridarono i Tulipani.
"Dovrebbe bere succo di papavero, e addormentarsi per mille anni" dissero i grandi Gigli scarlatti, e si riscaldarono e si inferocirono assai.
"E' un orrore fatto e finito! - gridò il Cactus - Ma sì, è tutto contorto e tarchiato, e ha la testa completamente sproporzionata rispetto alle gambe. A vederlo mi prudono le foglie, e se mi viene vicino lo pungo con le mie spine."
"Senza contare che si è preso uno dei miei fiori migliori - esclamò il Rosario bianco - Lo avevo dato all'Infanta io stesso questa mattina, per il suo compleanno, e lui gliel'ha rubato." E gridò forte:  "Ladro, ladro, ladro!" con tutta la voce che aveva.
Perfino i Gerani rossi, che di solito non si davano arie e che, si sapeva, avevano molti parenti poveri anche loro, si arricciarono dal disgusto alla sua vista, e quando le Viole osservarono miti che sì, era estremamente poco avvenente, ma che certo non era colpa sua, risposero a onor del vero che tale era il suo principale difetto, e che non c'era ragione di onorare una persona perché incurabile; e veramente fra le stesse Viole alcune consideravano la bruttezza del Nano quasi alla stegua di una ostentazione, e ritenevano che lui avrebbe dimostrato maggiore buon gusto se avesse assunto un'aria triste, o almeno pensierosa, invece di saltare qua e là allegramente, e di abbandonarsi ad atteggiamenti tanto grotteschi e sciocchi.
Quanto alla vecchia Meridiana, che era un individuo estremamente notevole, e che aveva detto l'ora nientemeno che all'Imperatore Carlo V in persona, rimase così interdetta dall'aspetto del piccolo Nano che quasi dimenticò di segnare due minuti interi col suo lungo dito d'ombra, e non potè trattenersi dal dire al grande Pavone bianco come il latte, che prendeva il sole sulla balaustra, che come tutti sapevano i figli dei Re erano Re, e i figli dei carbonai erano carbonai, ed era assurdo pretendere che così non fosse: affermazione con la quale il Pavone concordò interamente, e infatti gridò, "Certo, certo" con voce così alta, stridula, che i Pesci Rossi abitanti il bacino della fresca, sciaguattante fontana affacciarono il capo dall'acqua, e chiesero ai grossi Tritoni di pietra che diavolo stesse accadendo.
Ma in qualche modo gli Uccelli lo trovarono simpatico.
Lo avevano spesso visto nella foresta danzare come un elfo dietro le foglie ondeggianti, o accocolato nel cavo di qualche vecchia quercia, a dividere le sue noci con gli scoiattoli. A loro che fosse brutto non importava minimamente. In fondo anche l'Usignolo, che la notte cantava così dolcemente negli aranceti, che a volte la Luna si chinava in ascolto, non era gran cosa a vedersi, dopotutto: e del resto, il Nano era stato gentile con loro, e durante quel terribile inverno, quando non c'erano più bacche sugli alberi, e il terreno era duroi come il ferro, e i lupi in cerca di cibo erano calati addirittura fino alle porte della città, non li aveva dimenticati una sola volta, ma aveva sempre distribuito le briciole del suo tozzo di pane nero, e aveva diviso con loro la sua povera colazione.


Morgan J.M

(continua)

5 commenti:

carlè ha detto...

Non vedo l'ora di leggere il seguito. Troppo affascinante, tanti personaggi interessanti a partire dal re triste, buono ma indifferente e quindi manipolabile, dal fratello del re, sorridente, presente ma crudele e approfittatore, dall'infanta egoista e capricciosa. Per non parlare del nano, allegro deforme e inconsapevole. Come finirà? Interessante, come tutto del resto, complimenti Mab, i dipindi sono stupendi e...non tenerci col fiato sospeso per molto.
Un saluto immenso, in bocca al lupo per tutto!

Mab ha detto...

Ciao, Carlè!
"Il Pescatore e la Sua Anima", per me, rimane la sua fiaba perfetta, anzi, perfetta tra le fiabe letterarie.Talmente ricca di simboli, allusioni alla cultura irlandese (o citazioni, se vuoi), che è veramente completa in ogni senso. Qui, c'è lui in primo piano, più che i protagonisti della fiaba. Appena posso, pubblico la seconda parte. Ma davvero ti pare che ci sia la minima probabilità che finisca bene?

carlè ha detto...
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
carlè ha detto...

Ciao amatissima Mab!
No, non credo proprio che il finale avvenga secondo i miei desideri...conoscendoti un poco, ormai sono rassegnata!
Ma come potrebbe, l'Infanta, crescere senza problemi con un padre che si è seppellito con la moglie, rinunciando a vivere? Se poi penso che ha come riferimento uno zio che nasconde dietro ad un sorriso la sua crudeltà è tutto un dire. Il nano, sotto l'aspetto deforme è l'unico che ha mostrato umanità e sentimento. Ma questo esempio sarà sufficiente per un cambiamento positivo da parte dell'Infanta? Dubito fortemente ma lasciami sognare ancora un poco...
Leggerò sicuramente "Il Pescatore e la sua anima" cercando di comprendere la sinbologia intrinseca, ma non prometto nulla, visto la mia propensione a non cogliere...
Ciao cara!!!

Mab ha detto...

Non ti buttare giù! Diciamo che è la situazione opposta a quella della Sirenetta.Inutile dire quale preferisco. Vabbé che è impietoso un qualsiasi paragone tra Andersen e Wilde...