domenica 5 gennaio 2014

Gomena, il Principe dei Djinn - Siria

"Amore e Psiche", a torto, è considerata la fiaba più antica del mondo. Questioni di anzianità a parte, da sempre, pur se svilito, involgarito e maltrattato, questo archetipo fiabesco esercita una grande fascinazione ed è certamente all'origine di tutti quei filoni narrativi che riguardano le unioni fra Esseri Soprannaturali e/o magici e Esseri Umani. In poche parole, "Amore e Psiche" è l'antenata di fiabe come "Petrosinella", o "Il Re d'Amore", o "Re Crin", ma anche di quel "genere" narrativo che descrive gli amori di Buffy o quelli di Twilight ...

Questo genere di racconto magico che tratta di storie d'amore fra Djinn e Umani in arabo si chiama khurafa ed è diffuso in tutto il mondo mussulmano. L'Islam ufficiale se ne occupò fissando uno statuto legale per i rapporti fra gli Uomini e i Djinn. Anche in India alcuni giuristi si sono interessati al problema ipotetico di questi matrimoni.
I Djinn (o Ginn) corrispondono, naturalmente, al Genio di Aladino. Sono esseri soprannaturali preesistenti all'Islam.
L'Islam li ha, poi, assimilati: Dio li avrebbe creati da un fuoco senza fumo, e, come gli esseri umani, possono essere buoni o cattivi, eretici o credenti, e saranno giudicati il giorno del Giudizio. Salomone aveva imperio su di loro.
Nella cultura preislamica, corrispondevano a divinità minori, forse divinità locali a protezione di questo o quel villaggio. Come sempre accade, la nuova religione li privò dell'aspetto divino, trasformandoli in esseri magici, spesso malefici o demoniaci.
Nelle fiabe di magia, corrispondono, a volte, al nostro "Orco", credulità ed aspetti grotteschi compresi. Sono sorprendentemente fragili: da bambini anche un nòcciolo di pesca può ucciderli, e soffrono delle stesse malattie che affliggono gli uomini.


'erano una volta, molto tempo fa, tre giovinette, figlie di un povero pescatore. Una mattina, la primogenita disse al padre: "Voglio andare con te al mare."
"Perché?" chiese suo padre.
"Per scoprire se ho fortuna" rispose. Egli acconsentì. Si recarono al mare, gettarono le reti, attesero, ma alla fine della giornata dovettero tornare a casa con pochi piccolissimi pesci; la ragazza fu insultata e maledetta da tutta la famiglia. Anche la secondogenita voleva andare al mare. Il giorno seguente, pregò suo padre: "Portami con te."
"Santo Iddio! E tu, perché vuoi andarci?" brontolò il pescatore.
"Per scoprire se ho fortuna"
"Pensi di essere più fortunata di tua sorella?"
"Chissà! Magari, con me la sorte sarà più benevola" disse la figlia al pescatore.
E riuscì a convincerlo. Però, anche quella non si rivelò una giornata particolarmente fausta: presero pochi pesciolini, insufficienti per una magra cena. In compenso, la fanciulla ricevette abbondanti bastonate e ingiurie. Il terzo giorno, fu l'ultimogenita a manifestare l'intenzione di accompagnare il padre.
"Non bastano le tue sorelle? Anche tu devi importunarmi!" sbottò l'uomo,
infastidito.
"La mia esistenza è talmente monotona! Desidero fare nuove esperienze, e magari ti porto fortuna" insistè la fanciulla, riuscendo a persuaderlo. Giunti al mare, gettarono le reti e attesero. Trascorse il mattino, arrivò il primo pomeriggio, e di pesci neppure l'ombra. Ma quando il crepuscolo incominciò ad annerire il cielo, le reti diventarono pesanti: non riuscivano a sollevarle!
"Deve essere un pesce grossissimo!" esclamarono, contenti, il pescatore e sua figlia e si misero a gridare: "Gente! Accorrete! In nome di Dio, aiutateci!"
Vennero in molti e: issa issa! Tira tira! Portarono a riva un grossissimo... sasso!* La delusione e le canzonature degli altri pescatori fecero infuriare il pover'uomo, che sfogò la sua rabbia sulla figlia. La picchiò con un bastone e le gridò:
"Cane figlia di cane! Che cosa mi fai pescare? Per colpa tua restiamo senza cibo!" e giù botte. Pareva che volesse ammazzarla! La poveretta, terrorizzata, gridò:
"Forse non è una disgrazia! Potremmo usarlo come porta!", giacché erano talmente poveri che la loro catapecchia non aveva uscio e d'inverno se ne morivano dal freddo. Il padre si calmò. Pensò che, forse, la figlia aveva avuto una buona idea e le ordinò di far rotolare il grosso sasso fino a casa. Qui, le altre due ragazze, rabbiose per il digiuno, ingiuriarono la sorella e la percossero. Disperata e tutta dolorante, la giovane sedette accanto al grande sasso e diede sfogo alle lacrime, lamentandosi a voce alta. A mezzanotte, le apparve uno sconosciuto. Era alto e bello e dotato di ogni perfezione e la guardava con pietà.
"Che hai? - le chiese - Perché piangi?"
Lei gli raccontò le sue disgrazie e lo sconosciuto la ascoltava con compassionevole attenzione. Poiché la fanciulla era bellissima, ne fu conquistato e la sposò. Fece sorgere dal nulla due magnifici palazzi: uno per sé e la giovane moglie, l'altro per la famiglia di lei. E presero a vivere insieme con grande gioia ed armonia. La fanciulla riceveva doni meravigliosi: oro, preziosi gioielli, stoffe rare e perfino una bacchetta magica che poteva realizzare ogni suo desiderio. Ormai non le mancava nulla di tutto ciò che può rendere piacevole la vita. Però poteva stare con il marito soltanto di notte. All'alba, lo sposo misterioso scompariva. Un giorno lei andò all'hammam insieme alle sorelle. Recava con sé cibi raffinati, frutta profumata, fresche bevande, e, al suo passaggio, gettava monete d'oro. Le inservienti le si affollarono intorno: la lavarono, massaggiarono e cosparsero di unguenti profumati il suo corpo. Una le chiese: "Chi è tuo marito?"
"Non so" rispose lei.
"Come si chiama?", volle sapere un'altra.
"Non so". Tra le clienti, vi era una donna particolarmente indiscreta e più molesta di un insetto che insinuò: "Che dici! È mai possibile che tu non sappia niente dell'uomo che sposasti?" La giovane tornò a casa turbata dalle domande inopportune di quella pettegola. Fu assalita da dubbi e, in preda ad una insolita mestizia, si addormentò. Si svegliò a mezzanotte, quando il marito, come d'abitudine, rientrò a palazzo. Egli si accorse del suo turbamento e gliene chiese premurosamente il motivo.



Dulac E.

Ma lei gli gettò contro il suo pettine rifiutandosi di rispondere. Il marito, però, insistette:" Anima mia, luce dei miei occhi, che hai? Non ti sei divertita al bagno?" Lei, ancora più incollerita, gli gettò contro il suo bracciale e gli disse:"Va bene! Vuoi sapere la verità? Non mi sono divertita! Le donne mi hanno importunato con le loro chiacchiere: volevano sapere chi sei, e io, che non potevo rispondere, ho provato una grande vergogna. Come ti chiami? Chi sono i tuoi genitori? Qual è il tuo Paese?"
"Non posso dirtelo. Ma cosa importa il mio nome? Noi ci amiamo e siamo felici insieme! Accontentati."
"No, non potrò più essere contenta finché non saprò tutto di te!"
"Non insistere! Potresti perdermi, se sapessi."
Ma lei disse:"Voglio, devo sapere."
"Anche se rischi di vedermi scomparire per sempre?"
"Voglio sapere"
"Sei ostinata! Pensaci bene..."
"Non rinuncio a sapere la verità! È assurdo ignorare il nome del proprio sposo!"
"D'accordo. Vai in giardino, prendi quel grosso sasso che pescasti il giorno del nostro incontro, rigettalo in mare e attendi sulla riva fino al mattino. Allora, capirai." La giovane corse a cercare la grossa pietra, la fece rotolare fino alla riva del mare e sedette ad aspettare l'alba. Al sorgere del sole, sentì una voce che la chiamava. Guardò e vide un uomo che stava ritto sopra le onde: era il marito! Lui le gridò:" Donna, vuoi me o il mio nome?"
"Voglio il tuo nome."
E l'acqua ricoprì le caviglie del marito.
"Vuoi me o il mio nome?"
"Il tuo nome."
E l'acqua giunse alle ginocchia del marito.
"Vuoi me o il mio nome?"
"Il tuo nome."
E l'acqua raggiunse il petto del marito che urlò, disperato, per la quarta volta:
"Vuoi me o il mio nome?"
"Il tuo nome." E l'acqua arrivò al mento del marito. Lui la implorò ancora:
"O donna, sii compassionevole! Pensa a ciò che stai facendo! Ti giuro che scomparirò per sempre!"
Ma lei gridò:"Voglio il tuo nome!"
E lui fece in tempo a dire:"Mi chiamo Gomena...", e sprofondò negli abissi del mare. Lei tornò soddisfatta al suo palazzo: adesso conosceva il nome del marito e poteva dirlo a tutti! Ma anche i magnifici palazzi con tutte le ricchezze e i tesori erano finiti in fondo al mare: era rimasta solo la misera catapecchia di un tempo... Il padre e le sorelle erano seduti su una logora stuoia, e, non appena la videro, le si fecero incontro minacciosi, pieni d'ira... Lei fuggì via. 'Che posso fare?' si chiedeva. Per fortuna, i magnifici gioielli che portava indosso non erano scomparsi: li vendette ad un orafo. Con il denaro ricavato comprò l'hammam e appese un cartello all'ingresso. Il cartello diceva:
"Chi mi racconterà una storia farà il bagno gratis". 
La notizia si sparse e i raccontatori di storie accorrevano a frotte. Mentre succedevano queste cose, una donna che abitava in campagna decise di recarsi in città, accompagnata dal figlio. Era una notte buia e senza luna, e, per paura dei ghul che tendono agguati ai viandanti nell'oscurità, la donna si arrampicò su un albero per attendere il giorno. Il suo bambino si addormentò tranquillamente, ma la poveretta vegliava con tanto d'occhi spalancati. Ad un tratto, verso mezzanotte, vide sorgere dalla terra tre Djinn che si misero a recitare una strana filastrocca. 
Disse il primo:
" O pioggia, scroscia."
Disse il secondo:
" O vento, soffia ."
Disse il terzo:
" O tiglio**, fa' stormire le tue fronde 
Dai fiori profumati. 
Così Gomena verrà a visitarti."

E per incanto comparvero tavole imbandite e gioiose creature che misero un trono sotto un tiglio olezzante. Infine, apparve un bel principe dall'aria triste. I presenti si misero a suonare e a danzare, mentre pingui agnelli arrostiti venivano offerti generosamente. Così tutti banchettavano e trascorrevano lietamente il tempo. Tutti tranne il giovane principe, che aveva un aspetto sempre più malinconico ed abbattuto. Infine, trasse un pettine dalla tasca e cantò:

"Chi mi colpì con il suo pettine?
O pietre! O alberi!
Partecipate al mio dolore." 


E si lamentava a gran voce e pianse tutte le sue lacrime. Poi prese un bracciale e cantò:
"Chi mi colpì con il bracciale?
Chi infiammò il mio cuore?
O pietre! O alberi!
Piangete il mio perduto amore. 
Partecipate al mio dolore."

E pianse ancora, finché una di quelle creature sbucate dalla terra, con un semplice gesto, fece scomparire tutto. Subito dopo, l'aurora accese di rosa e oro il cielo. La donna scese dall'albero con il bambino e riprese il suo cammino.

Rudolph E.

Dopo qualche ora, giunsero finalmente in città e passarono davanti all'hammam. Il bambino, che sapeva leggere, informò la madre di ciò che prometteva il cartello all'ingresso del bagno. La donna decise di entrare.  "Sai una storia?" le chiese la padrona.
"Sì, una molto bella e strana."
"Racconta e potrai fare un bagno senza pagare..."
E la contadina incominciò: "Figlia mia, ieri, mentre venivo in città, fui sorpresa dal buio e..." Era proprio una bella storia! La fanciulla ascoltava rapita, e figuratevi come rimase quando sentì il nome del suo sposo! Per la gran contentezza fece lavare la narratrice finché a questa brillò la pelle come oro zecchino. Quindi, le disse:"L'hammam sarà tuo se mi indicherai il luogo dove accaddero i fatti che mi hai narrato." La donna ve la condusse. Allora, la giovane la congedò dicendo:
"Torna pure indietro e va' ad occuparti dell'hammam: adesso ti appartiene!"
Poi, piena di ansia e di impazienza, si arrampicò sull'albero e attese. A mezzanotte, tutto si svolse come la sera precedente. Però Gomena, non tollerando quella baldoria, con un gesto della mano, fece scomparire ogni cosa. E restò solo, con il suo cuore sanguinante. Cantava versi struggenti che parlavano di amori impossibili, e le lacrime gli scorrevano sul viso.


Dulac E.

La giovane, improvvisamente, comprese quanto fosse stata stupida e crudele, e, non reggendo più, lo invocò a gran voce.
"Tu!" esclamò il marito, che aveva alzato lo sguardo verso l'albero a quel grido.
"Sì, sono io - pianse lei - Ti appartengo, sarò la tua schiava o uccidimi, se vuoi..." "Mia cara, t'avevo avvisato: dovevi scegliere fra il mio nome e la mia persona. E hai scelto il primo. Ora non posso fare più nulla senza mettere in pericolo la tua stessa vita. I miei genitori sono i Sovrani dei Djinn: se solo sapessero, ti ucciderebbero!"
"Non temo niente e nessuno; e starei in un branco di scimmie nere pur di averti vicino. Ti seguirei in capo al mondo. Voglio vivere con te. Ti prego, non abbandonarmi in balìa della mia famiglia che non conosce la pietà!"
"Perché non mi ascoltasti? "
"Ho dato ascolto al giudizio della gente e adesso me ne vergogno profondamente!" disse lei, e gli manifestò la sincerità del suo pentimento e del suo affetto con gli accenti e i gesti più struggenti. Il principe, che già l'amava, ne fu toccato, ma le disse:"Tu sei una creatura umana e io un Djinn!"
"Che importanza ha? È il destino che vi ha uniti. Prendimi con te!" Allora, il principe Gomena non seppe più resisterle e la fece sedere accanto a sé su un tappeto volante, trasportandola verso le nuvole.


Spirin G.


E le disse:"Ti poserò accanto al Palazzo dei miei genitori" e le consegnò una mandorla, una noce e un pistacchio spiegandole come usarli. Quando giunsero davanti alla Reggia, la lasciò. La fanciulla, allora, seminò la mandorla, che, in un batter d'occhio, si trasformò in un grandissimo albero carico di frutti. Lo vide un abitante del Palazzo che si avvicinò e chiese:"Che fai qui, creatura umana?"
"Ho piantato quest'albero e ora vivo del suo raccolto."
"Lo venderesti?"
"No" non poteva venderlo, poiché desiderava restare accanto al suo amato! Ma, durante la notte, rubarono le mandorle e l'albero avvizzì. Seminò la noce che, in un batter d'occhio, divenne un magnifico albero carico di frutti. Durante la notte, però, fu spogliato dei suoi frutti ed avvizzì. Seminò il pistacchio e tutto andò come le altre volte. Non aveva più nulla da mangiare e decise di cercar lavoro presso i Djinn del Palazzo. Ci andò e chiese:"Mi volete come serva?" Essi acconsentirono. I genitori di Gomena, intanto, gli avevano trovato una bella fidanzata della sua razza e i preparativi per le nozze fervevano. La figlia del pescatore soffriva, ma non poteva fare niente. Un giorno, la Regina le ordinò:"Va' da mia sorella, dille che è invitata alle nozze del nipote e chiedile la cassetta della musica." Lei obbedì. Lungo il cammino, incontrò Gomena, che le disse: "Dove vai, vita mia?"
"Caro, tua madre mi invia a prendere i musici che suoneranno al tuo matrimonio." "Amore mio! Di certo, tramano per ucciderti: mia zia è una ghula e mangia carne umana."
"Dimmi, che cosa debbo fare?"
Lui le diede due cosce di vacca e la istruì:"Va' pure. All'ingresso troverai dei cani feroci. Gettagli queste due cosce di vacca, poi entra in casa. Vi sarà mia zia. Dille: 'La madre di Gomena ti invita alle nozze di suo figlio, e ha bisogno dei musici'. Lei farà finta di recarsi a prenderli in un'altra stanza, ma, invece, si affilerà gli incisivi e i molari per mangiarti. Tu devi approfittare della sua assenza: prendi la cassetta, che si troverà su una mensola in cucina, e scappa via senza voltarti. Ma sta' bene attenta a non aprirla."
In verità, la ghula, appena vide la bella fanciulla, si leccò le labbra pregustando il banchetto, e andò ad affilarsi i denti. Ma, al suo ritorno, lei era già fuggita. Inutilmente, il mostro gridava ai cani:"Acciuffatela e divoratela!" poiché i cani le rispondevano:"Ci ha dato carne, non la mangeremo!" E non la mangiarono. Mentre ritornava a Palazzo, osservava la cassetta, che era tanto piccina da starle in una mano sola, e si chiedeva:" È possibile che, racchiusa qui dentro ci sia un'intera compagnia di musici?" Infine, si lasciò vincere dalla curiosità, dimenticando le parole di Gomena, aprì e... tam, tam, bum, bum... tutta una banda di omini piccoli come spilli saltò fuori, si incolonnò e marciò verso il Palazzo. Invano, corse per acchiapparli. Già si disperava, quando apparve Gomena, che, in un attimo, raccolse tutti gli omini, li richiuse nella scatolina e gliela consegnò dicendole:
"Che cosa hai fatto? Perché hai aperto la scatola?"
"Mi è caduta." Mentì lei.

Tenggren G.

La Regina si meravigliò moltissimo vedendola tornare sana e salva. 'Questa è opera di mio figlio!' pensò indispettita; e, il giorno seguente, la inviò da sua sorella per chiederle il tappeto delle cerimonie. La fanciulla sapeva che era un inganno per farla mangiare dalla ghula ed ebbe paura. Per fortuna, Gomena le venne ancora una volta in aiuto; le consigliò come superare gli ostacoli, e lei riuscì a impadronirsi del tappeto, nascosto nel pollaio della ghula. Esso era lungo come il dito di una mano! "Acchiappatela!"gridò la ghula ai suoi cani, ma, ancora una volta, essi non obbedirono e la lasciarono andare. Lei, guardando incuriosita il minuscolo tappeto nella sua mano, si chiedeva:" Che se ne faranno di un tappeto così piccolo?" e, per osservarlo meglio, lo srotolò. Il tappeto, allora, saltò a terra e cominciò a crescere. Si allungava, si allungava, e stava già per giungere al Palazzo, quando apparve Gomena: in un attimo, lo prese, lo avvolse e glielo consegnò, dicendole:"Se non ti amassi tanto, punirei la tua curiosità."
Poi, continuò:" Domani, durante la festa, ti chiederanno di danzare. Tu accetta, ma di' che lo potrai fare soltanto se tieni in mano due torce accese. Te le daranno, comincerai a danzare e..." Dopo averle spiegato tutto, l'abbracciò e sparì.
Lei ritornò a Palazzo e consegnò il tappeto alla Regina che, non aspettandosi di rivederla, disse tra sé:"O creatura umana, questa non è opera tua!"
Il giorno seguente, gli invitati alle nozze chiesero alla fanciulla di danzare e lei acconsentì, ma volle due torce accese. Poi, mentre tutti osservavano ammirati le sue movenze, gettò improvvisamente una torcia in grembo alla sposa e l'altra contro il gruppo degli invitati, creando una gran confusione. In tutto quel trambusto, la fanciulla fuggì dal suo amato, che la attendeva, e volarono via insieme su un bianco cavallo alato. Attraversarono i cieli e giunsero in un altro mondo. Erano salvi, uniti e felici. Andarono a vivere in un meraviglioso palazzo, ed ebbero una splendida progenie di figli maschi e femmine.

Noi li abbiamo lasciati, 
E siamo tornati quaggiù . 
Che cosa successe in seguito 
Non lo sapremo più.


* Sono numerosissimi i miti e le leggende di uomini nati da pietre, tutti riconducibili alla fecondità della Madre Terra [ nota al testo]
** Il tiglio, nella mitologia greca, era considerato l'albero dalle nove virtù e simbolo di fedeltà in amore [nota al testo]

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