Fra le altre cose, bisognava che quella povera ragazza andasse due volte al giorno ad attingere acqua a una fontana distante più d'un miglio e mezzo, e ne riportasse una brocca piena.
Un giorno, mentre stava appunto lì alla fonte, le apparve accanto una povera vecchia che la pregò in carità di darle da bere.
"Ma volentieri, nonnina mia... - rispose la bella fanciulla - aspettate; vi sciacquo la brocca..."
E subito dette alla mezzina una bella risciacquata, la riempì di acqua fresca, e gliela presentò sostenendola in alto con le sue proprie mani, affinché la vecchiarella bevesse con tutto il suo comodo.
Quand'ebbe bevuto, disse la nonnina:
"Tu sei tanto bella, quanto buona e quanto per benino, figliuola mia, che non posso fare a meno di lasciarti un dono".
Quella era una Fata, che aveva preso la forma di una povera vecchia di campagna per vedere fin dove arrivava la bontà della giovinetta. E continuò:
"Ti do per dono che ad ogni parola che pronunzierai ti esca di bocca o un fiore o una pietra preziosa".
La ragazza arrivò a casa con la brocca piena, qualche minuto più tardi; la mamma le fece un baccano del diavolo per quel piccolo ritardo.
"Mamma, abbi pazienza, ti domando scusa...", disse la figliuola tutta umile, e intanto che parlava le uscirono di bocca due rose, due perle e due brillanti grossi.
"Ma che roba è questa!... - esclamò la madre stupefatta - sbaglio o tu sputi perle e brillanti!... O come mai, figlia mia?..."
Era la prima volta in tutta la sua vita che la chiamava così, e in tono affettuoso. La fanciulla raccontò ingenuamente quel che le era accaduto alla fontana; e durante il racconto, figuratevi i rubini e i topazi che le caddero già dalla bocca!
"Oh, che fortuna... - disse la madre - bisogna che ci mandi subito anche
quest'altra. Senti, Cecchina, guarda che cosa esce dalla bocca della tua sorella quando parla. Ti piacerebbe avere anche per te lo stesso dono?... Basta che tu vada alla fonte; e se una vecchia ti chiede da bere, daglielo con buona maniera."
"E non ci mancherebbe altro!... - rispose quella sbadata - Andare alla fontana ora!"
"Ti dico che tu ci vada... e subito", gridò la mamma.
Janet Goodchild-Cuffley
Brontolò, brontolò; ma brontolando prese la strada portando con sé la più bella fiasca d'argento che fosse in casa. La superbia, capite, e l'infingardaggine!... Appena arrivata alla fonte, eccoti apparire una gran signora vestita magnificamente, che le chiede un sorso d'acqua. Era la medesima Fata apparsa poco prima a quell'altra sorella; ma aveva preso l'aspetto e il vestiario di una principessa, per vedere fino a quale punto giungeva la malcreanza di quella pettegola.
"O sta' a vedere... - rispose la superba - che son venuta qui per dar da bere a voi!... Sicuro!... per abbeverare vostra Signora, non per altro!... Guardate, se avete sete, la fonte eccola lì."
"Avete poca educazione, ragazza... - rispose la Fata senza adirarsi punto - e giacché siete così sgarbata, vi do per dono che ad ogni parola pronunziata da voi vi esca di bocca un rospo o una serpe."
Appena la mammina la vide tornare da lontano, le gridò a piena gola:
"Dunque, Cecchina, com'è andata?".
"Non mi seccate, mamma!...", replicò la monella; e sputò due vipere e due rospacci.
"O Dio!... che vedo!... - esclamò la madre - La colpa deve essere tutta di tua sorella, ma me la pagherà..."
E si mosse per picchiarla. Quella povera figliuola fuggì via di rincorsa e andò a rifugiarsi nella foresta vicina.
Il figliuolo del Re che ritornava da caccia la incontrò per un viottolo, e vedendola così bella, le domandò che cosa faceva in quel luogo sola sola, e perché piangeva tanto.
"La mamma... - disse lei - m'ha mandato via di casa e mi voleva picchiare..."
Il figliuolo del Re, che vide uscire da quella bocchina cinque o sei perle e altrettanti brillanti, la pregò di raccontare come mai era possibile una cosa tanto meravigliosa. E la ragazza raccontò per filo e per segno tutto quello che le era accaduto.
Il Principe reale se ne innamorò subito e considerando che il dono della Fata valeva più di qualunque grossa dote che potesse avere un'altra donna, la condusse senz'altro al palazzo del Re suo padre e se la sposò.
Quell'altra sorella frattanto si fece talmente odiare da tutti, che sua madre stessa la cacciò via di casa; e la disgraziata dopo aver corso invano cercando chi acconsentisse a riceverla andò a morire sul confine del bosco.
Morale
Gli smeraldi, le perle, ed i diamanti
Abbaglian gli occhi col vivo splendore;
Ma le dolci parole e i dolci pianti
Hanno spesso più forza e più valore.
Altra Morale
La cortesia che le bell'alme accende,
Costa talora acerbi affanni e pene;
Ma presto o tardi la virtù risplende,
E quando men ci pensa il premio ottiene.
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Carlo Collodi, "Racconti delle Fate", traduce:
"Les Fées", C. Perrault, Les Contes de ma mère l'Oye
(Come il solito, la fiaba in Francese è nella pagina "Testi in Lingua Originale")
anitaSR - deviantArt
A parte il piacere della lettura - e non è poco! - le fiabe di Perrault, come quelle di G.B. Basile (il divario tra i due dal punto di vista artistico è, ovviamente, incolmabile) non possono e non devono essere un documento di consultazione o un punto di riferimento per chi avesse voglia di scavare fino alle radici storiche dei racconti di magia. Sono due opere letterarie che rispecchiano il divertimento e il desiderio di stupire e divertire di chi scrive. Accantonato Perrault, che, come tutti, si era "ispirato" direttamente ai Cunti, è indubbio che Basile abbia ripreso fiabe e racconti realmente popolari, e che, più o meno consciamente, abbia registrato e tramandato piccoli grandi dettagli, superstizioni, accenni di antiche leggende popolari... L'importante è, come sempre, capire dove e quali filtri abbia (no) usato, e quanto e come l'invenzione artistica abbia travestito antichi motivi.
Ciò che attrae immediatamente l'attenzione è la "Fata". La Strega, d'ora in avanti (già dal Basile, ovvio), o meglio, la sua funzione, è svolta dalla Fata. L'Orco, il Lupo, ecc. possono essere e sono citati, la Strega, no. La Mamma-draga, al Sud, sì. In fondo, è la femmina mostruosa, mostruosamente antropomorfizzata, di un ibrido mostruoso. In fondo, la Mamma-draga era reale quanto l'Araba Fenice. In fondo, nominarla nelle fiabe non era equivocabile, quindi non era pericoloso.
E la Fée non indaga sulla forza magica dell'antica Vasilisa: ne saggia la cortesia e la bontà d'animo, in un moralismo raccapricciante basato - quasi sempre - sull'equazione lombrosiana ante litteram : bella=buona/brutta=cattiva.
Ciò che attrae immediatamente l'attenzione è la "Fata". La Strega, d'ora in avanti (già dal Basile, ovvio), o meglio, la sua funzione, è svolta dalla Fata. L'Orco, il Lupo, ecc. possono essere e sono citati, la Strega, no. La Mamma-draga, al Sud, sì. In fondo, è la femmina mostruosa, mostruosamente antropomorfizzata, di un ibrido mostruoso. In fondo, la Mamma-draga era reale quanto l'Araba Fenice. In fondo, nominarla nelle fiabe non era equivocabile, quindi non era pericoloso.
E la Fée non indaga sulla forza magica dell'antica Vasilisa: ne saggia la cortesia e la bontà d'animo, in un moralismo raccapricciante basato - quasi sempre - sull'equazione lombrosiana ante litteram : bella=buona/brutta=cattiva.
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