Una mattina, dopo aver trascorso la notte nella foresta, quando la luce dell'alba le svegliò, videro una bella fanciulla vestita di un bianco abbagliante che stava seduta vicino al loro giaciglio. Ella s'alzo guardandole con amore e, senza dir nulla, rientrò nella foresta. Quando le bimbe si guardarono intorno, si accorsero che il luogo dove avevano dormito era sull'orlo di un precipizio, nel quale sarebbero certo precipitate se nel buio avessero fatto due passi in più. La mamma disse che l'apparizione che avevano veduta era, senza dubbio, uno degli angeli che proteggono i bambini buoni da ogni pericolo. Rosabianca e Rosarossa tenevano la loro casetta così pulita che era un vero piacere entrarvi. Ogni mattina, in estate, Rosarossa metteva prima in ordine la casa e poi coglieva un mazzolino di fiori per la mamma, e ci metteva sempre un bocciolo bianco e uno rosso che prendeva da ciascuno dei due rosai. Ogni mattina, in inverno, Rosabianca accendeva il fuoco e vi poneva sopra, piena d'acqua, la caffettiera, che, benché fosse solo di rame, splendeva come l'oro tanto era tirata a lucido. La sera, quando cadevano i fiocchi di neve, la mamma diceva: "Rosabianca, va' a chiudere la porta con il catenaccio", e poi si sedevano intorno al camino, e la mamma si metteva gli occhiali per leggere un grosso libro a voce alta, mentre le bambine filavano. Accanto a loro, stava accucciato un agnellino domestico e, dietro, appollaiato sopra una pertica, c'era un piccioncino bianco, che dormiva con la testolina sotto l'ala.
Hey P.
Una sera, mentre sedevano così pacificamente, si sentì un colpo alla porta, come se qualcuno volesse entrare. "Presto, Rosarossa - esclamò la madre - presto, apri la porta, ci sarà qualche viaggiatore che ha bisogno di asilo."
Rosarossa tirò il catenaccio e aprì la porta, aspettandosi di vedere un pover'uomo; invece, fece capolino un orso grande e grosso. Rosarossa cacciò un grido e tornò indietro di corsa, l'agnellino belò, il piccione svolazzò sulla pertica e Rosabianca si nascose dietro il letto della mamma. L'orso, però, si mise a parlare e disse: "Non abbiate paura, non vi voglio fare del male, ma sono mezzo congelato e vorrei scaldarmi un poco."
"Povero orso! - esclamò la mamma - vieni dentro e sdraiati davanti al fuoco, ma sta' attento a non bruciarti il pelo".
E poi continuò: "Venite qui, Rosarossa e Rosabianca, non abbiate timore, l'orso non vi farà del male: vedete che le sue intenzioni sono buone."
Così esse si avvicinarono, e, pian piano, anche l'agnello e il piccione dominarono la loro paura e fecero buona accoglienza al selvatico visitatore.
"Bambine - disse l'orso prima di entrare - venite a scuotermi di dosso la neve." Esse andarono a prendere le scope e gliela spazzarono via tutta. Allora l'orso si distese davanti al fuoco e fremeva dalla contentezza; a poco a poco le bambine presero tanta confidenza con lui da osare fargli degli scherzi: gli tiravano il pelo, gli mettevano i piedi sulla schiena, lo facevano rotolare avanti e indietro e arrivarono perfino a picchiarlo col battipanni, ridendo quando lui brontolava.
Spirin G.
L'orso sopportava serenamente tutti questi giochi e, se picchiavano troppo forte esclamava: La vita a me lasciate, Rosabianca e Rosarossa, o mai vi maritate! Quando venne l'ora di andare a letto e le bimbe si coricarono, la madre disse all'orso: "Puoi dormire qui davanti al camino, se vuoi: così starai al riparo dal freddo e dal cattivo tempo."
Appena spuntò l'alba, le bambine fecero uscire l'orso, che se ne trotterellò via sopra la neve: e ben presto prese l'abitudine di tornare alla capanna ogni sera alla stessa ora. Si sdraiava davanti al fuoco e lasciava che le bambine giocassero con lui finché volevano; a poco a poco, esse si abituarono talmente alla sua presenza che non mettevano il catenaccio alla porta finché non era arrivato.
Spirin G.
Ma, appena ritornò la primavera, e tutto era verde nella campagna, una mattina, l'orso disse a Rosabianca che doveva lasciarla e che non sarebbe tornato per tutta l'estate. "Dove vai, allora, caro orso?" chiese Rosabianca.
"Sono costretto a stare nella foresta per custodire i miei tesori dai nani cattivi. Durante l'inverno, quando il gelo indurisce la terra, essi se ne devono stare rintanati nelle loro grotte e non possono uscire, ma, ora che il sole ha riscaldato la terra e l'ha ammorbidita, i nani scavano lunghe gallerie e rubano tutto quello che trovano. Ciò che passa nelle loro mani e che essi nascondono nelle loro grotte non si può riavere facilmente." Rosabianca era molto triste per la partenza dell'orso, e gli aprì la porta così malvolentieri, che, quand'esso sgattaiolò dalla fessura, lasciò sulla maniglia un pezzetto di pelliccia: e nel buco prodottosi nel suo mantello parve a Rosabianca di intravedere un luccichìo d'oro; ma non ne fu sicura. L'orso se ne andò in fretta, e, presto, fu nascosto dagli alberi. Poco tempo dopo, la mamma mandò le bimbe nel bosco a raccogliere legna e, mentre erano intente a cercare ramoscelli secchi sparsi sul terreno, s'imbatterono in un albero caduto per traverso sul sentiero. Videro qualcosa tra l'erba che andava su e giù e, all'inizio, non capirono che fosse: ma quando si furono avvicinate, videro un nano dalla faccia vecchia e grinzosa e dalla candida barba lunga un metro. La punta della barba era incastrata in una fessura del tronco e l'omino saltava qua e là come un cane legato alla catena, non sapendo come fare a liberarsi. Guardò le bambine con gli occhi fiammeggianti e strillò:
"Che cosa fate lì senza muovervi? Non ve ne andrete senza aiutarmi, vero?"
"Che cosa avete fatto, nonnino?" domandò Rosarossa.
"Quanto sei sciocca e curiosa - esclamò quello - volevo spaccare l'albero per fare legna per la mia cucina. Avevo messo il cuneo e tutto procedeva bene, quando esso è saltato via a un tratto e la spaccatura si è richiusa così presto che non ho fatto in tempo a tirare indietro la mia bella barba, e ora è presa lì dentro e non posso andarmene. Ecco! Non ridete, visi di cartapesta? Siete dunque rimaste incantate?" Le bambine riunirono i loro sforzi per tirare fuori la barba del nano, ma non vi riuscirono.
"Corro a cercare aiuto" gridò Rosarossa, alla fine.
"Sei un cervello sciocco e una testa bacata - gridò il nano - Che bisogno c'è di chiamare altra gente? Voi due siete anche di troppo per me; non potete trovare altro rimedio?"
"Non vi spazientite - replicò Rosabianca - ho pensato a qualcosa", e, tirando fuori dalla tasca le sue forbicine, tagliò la punta della barba.
Spirin G.
Appena il nano si sentì libero, afferrò il suo sacco, che era nascosto fra le radici dell'albero ed era pieno d'oro. Ma si guardò bene dal mostrarsi riconoscente: si gettò sulle spalle la bisaccia e se ne andò con aria corrucciata, brontolando e gridando: "Stupide, tagliare un pezzo della mia barba!"
Un po' di tempo dopo, Rosabianca e Rosarossa se n'andarono a pescare; quando si avvicinarono allo stagno, videro qualcosa che sembrava una grossa cavalletta
che saltellava sulla riva come se stesse per balzare nell'acqua. Corsero a vedere e riconobbero il nano.
"Che cosa state facendo?- domandò Rosarossa - Cadrete nell'acqua!"
"Non sono tanto scemo - rispose il nano - ma non vedete che questo pesce mi ci tira dentro?!"
Il nano stava pescando e il vento aveva imbrogliato la sua barba col filo della lenza in modo che, quando un grosso pesce aveva abboccato all'amo, le forze del piccolo essere non erano più state sufficienti a tirarlo su, e il pesce era sul punto di avere la meglio nella lotta. Il nano si aggrappava ai salici e ai cespugli che crescevano sulla riva, ma anche questo non serviva: il pesce lo tirava dove voleva e lo avrebbe portato ben presto nello stagno. Per fortuna, le due fanciulle arrivarono in tempo e cercarono di liberare la barba del nano dal filo della lenza, ma essa si era talmente attorcigliata che non fu più possibile sciogliere quell'intrico. Rosabianca tirò fuori le forbici e tagliò un altro pezzo di barba.
Ethel Franklin Betts
Quando il nano se ne accorse, montò su tutte le furie ed esclamò:
"Sciocche! E' questa la maniera di sfigurarmi? Non vi bastava tagliarmela una volta? Dovevate anche togliermene la parte migliore? Non avrò più il coraggio di farmi vedere dalla mia gente! Sarebbe stato meglio che vi si fossero consumate le suole dalle scarpe prima di arrivare qui!"
Ciò dicendo, sollevò un sacco di perle che stava fra i cespugli e, senza aggiungere parola, scivolò via e sparì dietro una pietra. Non molto tempo dopo
quest'avventura, la mamma di Rosarossa e Rosabianca ebbe bisogno di filo, aghi, spilli, merletti e nastri, e mandò le figliole a comprarli nella città più vicina. La strada passava per una zona disseminata di massi, ele fanciulle scorsero, proprio al disopra delle loro teste, un grande uccello che volava a spirale, abbassandosi via via, finché, ad un tratto, piombò dietro a uno di quei massi. Udirono un grido lacerante, e, accorrendo, videro con orrore che l'aquila aveva afferrato la loro vecchia conoscenza, il nano, e cercava di portarlo via. Le bimbe compassionevoli lo afferrarono a loro volta e lo tennero forte finché l'uccello rinunciò a lottare e se ne volò via. Però, appena il nano si riebbe dalla paura, esclamò con la sua vocetta acuta:
Spirin G.
Goble W.
"Non potevate tenermi con più garbo? Avete afferrato la mia giacca marrone in modo tale che è tutta strappata e piena di buchi. Ficcanaso e pettegole che non siete altro!" Con queste parole si caricò sulle spalle un sacco pieno di pietre preziose e scivolò nella sua grotta fra le rocce. Le ragazze ormai erano abituate all'ingratitudine del nano, e seguitarono la loro strada fino alla città, dove fecero le loro compere. Tornando a casa, ripassarono da quella località e, senza accorgersene, attraversarono una radura sulla quale il nano, pensando d'essere solo, aveva sparso le pietre preziose del suo sacco. Il sole brillava e le pietre luccicavano rifrangendo i suoi raggi: c'era una tale varietà di colori che le bambine si fermarono ad ammirarli stupite.
"Che cosa state a fare lì a bocca aperta?" domandò il nano, mentre il viso gli diventava paonazzo per la rabbia. Continuava a gridare improperi contro le povere fanciulle, quando si udì un ringhio e un grande orso nero venne fuori dalla foresta. Il nano diede un balzo, terrorizzato, ma non fece in tempo a rientrare nel suo antro prima che l'orso lo raggiungesse. Allora gridò: "Risparmiami, caro signor orso, ti darò tutti i miei tesori, e anche queste pietre preziose. Concedimi la vita: che puoi temere da un piccolo essere come me? Non mi sentiresti nemmeno fra le tue zanne. Qui ci sono due bambine cattive, due teneri bocconcini, grasse come quaglie: mangia loro!" L'orso però, senza darsi la pena di parlare, dette una zampata a quel nano senza cuore, che non si mosse più. Le bambine stavano per fuggire, ma l'orso le chiamò: "Rosabianca, Rosarossa, non temete, aspettatemi che vi accompagno!"
Spirin G.
Esse riconobbero allora la voce del loro amico e si fermarono rassicurate. Ma quando l'orso arrivò loro vicino, il suo mantello gli cadde di dosso e apparve uno splendido giovanetto, vestito tutto d'oro.
"Sono il figlio di un re - disse - ed ero stregato da quel nano cattivo che aveva rubato tutti i miei tesori, condannandomi a errare in questa foresta sotto forma di orso finché la sua morte non mi avesse liberato. Ora ha finalmente ricevuto il castigo che si meritava."
Così se ne tornarono alla casetta: Rosabianca sposò il bel principe e Rosarossa il fratello di lui, e si divisero l'immenso tesoro che il nano aveva raccolto. La vecchia madre visse felicemente per molti anni con le sue figliole; i due rosai che stavano davanti alla casetta furono trapiantati davanti al palazzo, e ogni anno diedero delle bellissime rose rosse e delle rose bianche ancòra più belle.
Sanderson R.
Grimm n.161, "Schneeweißchen und Rosenrot".
Classificazione: Aa Th 426 [The Two Girls, the Bear and the Dwarf]
Il testo in lingua originale è nella pagina Brüder Grimm.
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