mercoledì 29 gennaio 2014

La Bella Caterina, o la Novella de' Gatti, V. Imbriani

'era una volta una donna campagnola, che aveva due figliole: una delle quali era bellissima e si chiamava Caterina; l'altra, tutt'all'incontro, era brutta quanto dire si puole. Ma la madre voleva più bene alla brutta; e siccome tutte e due si rodevano d'invidia per la Caterina, perchè alla bellezza accoppiava pure una grande bontà, s'arrapinavano a fargli dispetti e cercavano tutti i modi perchè gli accadesse qualche malanno da ridurla imbruttita. La Caterina sopportava con pazienza le persecuzioni delle due arpie; ed, invece di farsi brutta per gli strapazzi, pareva ogni dì che gli s'accrescesse la bellezza.


Olga Oreshnikova

Un giorno la madre disse alla brutta:
"Sa' tu quel che ho pensato? Mandiamo la Caterina a pigliare lo staccio dalle Fate, che gli sgraffieranno tutto il viso; e la imbruttirà e nessuno più la guarderà."
"Sì, sì! - esclamò la brutta, gongolando di maligna gioia - Le Fate sono cattive e l'acconceranno pel dì delle feste."
Subito la madre chiamò la Caterina e gli disse:
"Su via, sguajata: c'è da fare il pane e non abbiamo in casa lo staccio per ammannire la farina. Va' dalle Fate dentro al bosco e chiedigli lo staccio in prestito."
A questo comando la Caterina divenne bianca dalla paura, sapendo per sentita dire, che chi andava dalle Fate ne ritornava malconcio. Pregò la madre che non la mandasse, pianse: ma la madre e la brutta sorella tanto la minacciarono, che ripensando non potere soffrire dalle Fate un male maggiore, si piegò ad obbedire. Sicché, mesta e piagnucolosa e mettendo un piede innanzi e due addietro, avviossi verso il bosco dove stavano le Fate.
Quando la Caterina fu in sull'entrata del bosco, gli si fece incontro un Vecchietto; e, vistala a quel modo dolorosa, gli domandò:
"Che avete voi, bella ragazza, che parete tanto afflitta?"
La Caterina gli raccontò allora tutti i suoi mali, e che in casa non la potevano soffrire, e ora la mandavano alle Fate per uno staccio, perchè le Fate la sciupassero e la imbruttissero.
Disse il Vecchietto: "Non abbiate paura di nulla. V'insegnerò io com'avete da condurvi. E se m'ascolterete, non ve n'avrete da pentirvene. Ma prima ditemi un po' che cosa ho qui 'n capo, che mi sento tanto prudere."
Il Vecchietto piegò un tantino la testa. E avendogliela la Caterina esaminata, disse: "Ci veggo perle ed oro."
Disse il Vecchietto: "E perle ed oro toccheranno anche a voi. Statemi a sentire e fate quel che vi dico. Quando sarete alla porta di casa delle Fate, picchiate ammodo; e se vi diranno: Ficcate un dito nel buco della chiave; vi ficcherete uno steccolo, che ve lo stroncheranno. Aperto che sia, vi condurranno diviata in una stanza, dove mirerete tanti gatti; e chi cucirà, chi filerà, chi farà la calza, e insomma, tutti occupati a qualche lavoro: e voi adopratevi senza invito ad ajutargli ed a fornire l'opera ad ognuno. Dopo anderete in cucina; e anche lì saranno gatti alle loro faccende; ajutategli come quegli altri. Un po' più in là sentirete chiamare il gatto Mammone, e tutti i gatti gli racconteranno quel che avete fatto per loro. Il Mammone allora vi domanderà: Che brami tu per colazione, pan nero e cipolla, o pan bianco e cacio? E voi rispondete: Pan nero e cipolla; e vi verrà dato pan bianco e cacio. Poi il Mammone v'inviterà a salire una stupenda scala di cristallo: badate bene di non la rompere. Giunta al piano di sopra, scegliete sempre la peggio roba di quella che vi vorranno regalare."
La Caterina promesse al Vecchietto di obbedirgli; e, dopo ringraziato e salutatolo, si avviò verso le Fate. E, picchiato alla porta, fece secondo l'ammaestramento. Sicchè apertogli, richiese le Fate dello staccio. Dissero le Fate:
"Ora ve lo diamo. Entrate intanto un po' e aspettate."
Ed ecco vede tanti gatti per la stanza, che lavoravano a tutto potere.


Olga Oreshnikova

"Poveri micini! - esclamò la Caterina - Con codeste zampine chi sa quanta pena soffrite! Date qua; farò io, farò io."
E preso il lavoro di ognuno, in quattro e quattr'otto l'ebbe terminato. Poi in cucina rigovernò, spazzò, rimesse in ordine tutti gli arnesi. Fu chiamato il gatto Mammone e i gatti miagolando dicevano:
"A me ha cucito!"
"A me ha fatto la calza!"
"A me ha rigovernato!", e così fino in fondo raccontavano tutti al Mammone l'ajuto della Caterina; e saltavano a balzicùli per la stanza dal gran piacere.
Il gatto Mammone, sentito l'opera della Caterina, gli disse:
"Che vuoi da colazione, pan nero e cipolla, o pan bianco e cacio?"
"Oh! datemi pan nero e cipolla - rispose la Caterina, - non sono avvezza a mangiare altro."
Ma il gatto Mammone volle che mangiasse pan bianco e cacio.


Olga Oreshnikova


Poi il gatto Mammone invitò la Caterina a salire nel piano di sopra e la condusse alla scala di cristallo: e la Caterina si levò gli zoccoli e salì su in peduli tanto pianino, che non isciupò la scala e neppure la sgraffiò. Qui gli furono profferite vesti belle e vesti brutte, oro e ottone. E lei scelse le vesti brutte e l'ottone. Ma il Mammone comandava invece alle Fate, che l'acconciassero splendidamente e gli fossero regalate gioie legate in oro.
Quando la Caterina fu messa in modo, che pareva una Regina, il Mammone gli disse: "To' su lo staccio; e andata fuori dell'uscio di questa casa, se senti ragliar l'asino non ti voltare; ma se canta il gallo, vòltati."
La Caterina obbedì: al raglio dell'asino non se ne diede per intesa; ma al chicchirichì del gallo si voltò indietro, e subito gli venne una stella rilucente in sul capo. A mala pena la Caterina giunse a casa sua, che la madre e la sorella brutta se le rodevano la rabbia e il dispetto; quella stella poi gli era un pruno negli occhi. La brutta disse: "Anch'io vo' andare dalle Fate, anch'io. Mandate me a riportare lo staccio, mamma."
Quando lo staccio fu adoperato, la brutta se lo tolse su e s'avviò al bosco delle Fate. E all'entrata, lei pure trovò il Vecchietto, che gli domandò:
"Ragazzina, per dove così vispola?"
"Vecchio ignorante!- rispose con superbia la brutta - i' vo' dove mi pare. Impaccioso! badate a' fatti vostri."
"Brutta e scontrosa! - disse il Vecchietto ridendo di sottecche - Va' va' dove ti pare! doman te n'avvedrai!"
Ed ecco la brutta all'uscio delle Fate; e agguanta in mano il picchiotto e dàgli, giù senza garbo, da scassinare le imposte. Dissero le Fate di dentro:
"Metti un dito nel buco della chiave ed apri."
E la brutta caccia il dito nel buco; e quelle zìffete! e glielo stroncano. L'uscio si spalancò e la brutta, tutta rabbiosa, saltando in casa e gettato per terra lo staccio, si fece ad urlare: "Questo è il vostro staccio, maledette!"
Poi visti i gatti al lavoro, disse: "Oh! buffi questi gattacci! o che mesticciate voi, mammalucchi?"
E preso a loro gli arnesi, a chi bucò le zampe cogli aghi, a chi le tuffò nell'acqua bollente, a chi dette su per le costole la granata e i fusi. Ne successe un tafferuglio; e i gatti a scappare di qua e di là, berciando pel dolore; sicchè al chiasso comparve il gatto Mammone; e i gatti strillando a modo loro gli raccontarono quel che avevano patito dalla brutta. Serio serio disse il gatto Mammone: "Ragazzina, dovete aver fame: volete pan nero e cipolla, o pan bianco e cacio?"
E la brutta: "Guarda che bella creanza! Se venissi a casa mia non vi darè' mica pan nero e cipolle e non vi stroncherei le dita. Voglio pan bianco e cacio."
Ma, se volle mangiare, bisognò che si contentasse di pan nero e cipolla, perchè non gli portarono altro. Allora il gatto Mammone disse: "Andiamo via, ragazzina, vi si regalerà anche voi di vestito e d'altro. Salite di sopra, ma badate alla scala, che è di cristallo."
La brutta però non se n'addiede dell'avvertimento, e salì alla sgraziata la scala cogli zoccoli in piedi, per cui la fracassò da cima a fondo. E giunta su, le Fate gli domandarono: "Che più vi garba, un vestito di broccato e pendenti d'oro, o una gonnella di frustagno e pendenti d'ottone?"
La brutta s'attaccò subito alla sfacciata alla robba meglio; ma gli convenne pigliare la peggio, perchè non gliene dettero altra. Tutta indispettita, la brutta prese il portante per andarsene, e, quando fu all'uscio, gli disse il gatto Mammone: "Ragazzina, se canta il gallo tirate via; ma se raglia l'asino, voltatevi addietro, che vedrete una bella cosa."
Di fatto, eccoti che l'asino raglia di gran forza; e la brutta, girato il capo tutta desio di vedere la bella cosa, una folta coda di ciuco gli venne fuori dalla fronte. Disperata, si diè a correre verso casa sua, per istrada urlando da lontano: "Mamma dondò, Mamma dondò, La coda dell'asino mi s'attaccò."
In tanto la Caterina, più bella dal giorno che aveva visitato le Fate, fu vista dal figliolo del Re, che se ne innamorò così forte, da obbligare il Re a consentire che se la pigliasse per moglie. Le nozze si stabilirono, e la Madre e la brutta non ebbero ardire di opporsi al Re; pure macchinarono d'ingannarlo, sperando riuscirvi. Il giorno dello sposalizio, la Caterina fu messa in un tino chiuso giù nella cantina, e de' suoi vestiti e gioie si acconciò la brutta, e la Madre a questa gli rasò la coda d'asino d'in sulla fronte e poi gli ravvolse il capo con un fitto velo. Giunto, assieme al corteo, il figliolo del Re, la cattiva Madre gli disse: "Eccovi la sposa bell'e apparecchiata."
Il figliolo del Re stava per porgere la mano alla brutta, credendola la Caterina, quando a un tratto gli parve sentire de' lamenti sotto terra; e, stato un po' in orecchi e intimato il silenzio, s'accorse che qualcheduno cantava con voce piangente:
"Mau maurino!
La Bella è nel tino,
La Brutta è 'n carrozza, 
E 'l Re se la porta."

Il figliolo del Re, insospettitosi allora, volle che si cavasse il velo dal capo della sposa e scoperse l'inganno; perchè alla brutta di già la coda d'asino era tanto cresciuta da coprirgli gli occhi. Andò sulle furie, e cercata la Caterina, la tirò fuori dal tino e ci fece mettere invece la madre e la brutta. E ordinato che si bollisse una caldaia d'olio e che gli si buttasse addosso, quelle invidiose morirono subito. Il figliolo del Re, sposata la bella Caterina, la condusse al palazzo. E camparono insieme lunga vita e felice.

Stretta è la foglia e larga è la via, 
Dite la vostra chè ho detto la mia.


Vittorio Imbriani, Novella XV, da "La Novellaja Fiorentina" (Gherardo Nerucci, "Sessanta Novelle Popolari Montalesi", n.5 - Testo originale nella Pagina: Fiabe Popolari - Italia)

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