sabato 11 maggio 2013

Descrizione del Lupo Mannaro



"Il lupo mannaro costituisce uno dei più rappresentativi esempi di metamorfosi animale, notturna e cannibale, che rivela un particolare tipo di angoscia collettiva. La licantropia è abbondantemente attestata, a partire dalle incisioni parietali del Neolitico e da certi miti arcaici  del mondo europeo, per arrivare alle tradizioni popolari sopravvissute fino all'alba del XX secolo nelle campagne dell'Occidente. Dappertutto, e in tutte le epoche, molteplici testimonianze attestano la credenza collettiva nell'esistenza dell'uomo-lupo.

E' evidente che l'uomo-lupo è esistito unicamente perché esistevano i lupi. Questo animale, oggi in via di estinzione, è stato per interi millenni un pericolo reale e quotidiano, fonte di molte paure. Ed è proprio in questo atavico terrore che affonda le sue radici la leggenda dell'uomo-lupo e quella, molto simile, di un demone feroce: non c'è molta indifferenza, infatti, fra la lupa Mormolyke, che si pensava mordesse i bambini greci cattivi o disubbidienti e il Gran Lupo Cattivo.

[Il Lupo, con il Pesce e, prima ancòra, primo fra tutti, l'Uccello, segnatamente l'Aquila, erano i signori degli animali, gli antenati totemici. Intere famiglie e tribù prendevano il loro nome, ed i loro componenti erano realmente convinti di discendere da un lupo o da un orso o da un alce. Questo radicato convincimento, perdendo, con il tempo, senso, significato e perfino la memoria di sé, si riaffaccia nelle leggende dei licantropi che, spesso, si ritengono o temono di essere colpiti dalla maledizione "di famiglia" (la letteratura e la cinematografia ne offrono innumerevoli esempi). In questo il licantropo si differenzia dal vampiro, con cui è spesso confuso nelle tradizioni popolari: alcune leggende che li riguardano sono interscambiabili.]

Ma esiste anche un'altra ragione alla base di questa credenza: il mondo indoeuropeo ha conosciuto l'esistenza di confraternite iniziatiche che praticavano una licantropia rituale: in Arcadia, intorno al tempio di Zeus Liceo, nell'Iran antico e nel mondo germanico. Il nucleo centrale di questi cerimoniali iniziatici maschili consisteva nella trasformazione del giovane guerriero in fiera; i riti miravano non solo a fargli acquistare resistenza e coraggio a livello fisico, ma anche a trasformare la natura umana dell'iniziato, attraverso un accesso di furore aggressivo, in essenza ferina.
Questi guerrieri-lupi potevano raggiungere, durante il cerimoniale, dei livelli parossistici in cui squartavano la loro vittima e, senza dubbio, ne divoravano le carni. Si diventava, quindi, guerriero forte e impavido imitando, ritualmente, la ferocità del lupo, rivestendosi della sua pelle e conducendo il suo stesso genere di vita solitaria, carnivora, predatrice.

Per lasciare il mondo degli uomini, l'iniziato si spoglia, appende i vestiti a un albero, attraversa un lago e va a "vivere da lupo" per un certo tempo. Dopodiché, purificatosi nell'acqua attraverso il tragitto inverso, riprende i suoi abiti da uomo civilizzato.

[Mi pare superfluo ricordare che questa è la descrizione del Rito di Iniziazione. Una “confraternita” di giovani lascia il mondo degli uomini, ovvero, muore  ritualmente, (la “Morte Temporanea”) e poi rinasce, dopo aver sostenuto le prove estreme ed appreso gli insegnamenti riguardanti i segreti della tribù. Non il “ritorno nel mondo civilizzato”, ma l'ingresso nella società degli uomini.
Qui siamo... a grande distanza, nel tempo e nello spazio. E questi riti ricordano anche quelli dei Nativi Americani, o degli indigeni Africani (basta sfogliare “Il Ramo d'Oro” di Frazer).]

E' molto importante notare che in tutte le descrizioni del lupo mannaro si ritrova uno scenario rituale rigorosamente fedele. Sappiamo, inoltre, che nel mondo greco arcaico, una delle prove iniziatiche imposte al "giovane lupo" era la caccia alle teste umane: così Dolone ( Iliade,X ), rivestito di una pelle di lupo, parte per una caccia notturna dalla quale spera di riportare la testa di Ulisse. La stessa prova è attestata presso i Celti, gli Sciti, i Daci, come pure presso i Germani.
Questo nuovo lupo, dunque, per un determinato lasso di tempo, deve rimanere lontano dal popolo civilizzato, vivere escluso dalla civiltà umana come se fosse un bandito. Ora, nel mondo nordico e in quello anglosassone, il fuggitivo, il bandito, l'outlaw, è chiamato "lupo" ( werewulf nelle leggi di Knut il Grande del 1014) e deve essere " al di là dei limiti dove gli uomini cacciano i lupi".
Così i valori simbolici, che sottintendono i rituali di iniziazione licantropica, vengono contrapposti ai valori sociali consolidati: il "lupo" è asociale, solitario, feroce, predatore, divora l'uomo, e il feroce guerriero vive proprio come se fosse un bandito. Ma sono senz'altro esistite altre confraternite di uomini-lupo di natura diversa, costituite da maghi e sciamani, dai "lupi a due zampe" che avevano, si credeva, il potere di trasformarsi in lupi dietro assunzione di droga o cospargendosi di un unguento magico.
L'antichità greca e romana ci fornisce numerose testimonianze di tali metamorfosi: "Ho visto Moeris, grazie alla virtù delle piante, trasformarsi in lupo e inoltrarsi nel bosco", dice Virgilio (Egloghe,VIII). Bisogna credere che queste piante magiche avessero a quel tempo una grande importanza psicologica considerato che dopo la loro lentissima scomparsa se ne ritrovano ancora delle tracce nelle credenze popolari e nelle leggende riguardanti il lupo mannaro.
Non si tratta già più di rituali veramente praticati, ma della loro proiezione nell'immaginario, e la licantropia assume un significato nuovo: diventa simbolo dei rapporti possibili e pericolosi fra gli uomini e l'animalità che la Chiesa, nella sua lotta contro il paganesimo ricorrente, assimila al satanismo. Il lupo mannaro diventa un indemoniato. San Bonifacio vi fa allusione quando descrive le opere del Diavolo. Raban Maur, vescovo di Fulda, e Burchard di Worms parlano entrambi di individui che possono trasformarsi a loro piacimento in lupi. Il lupo mannaro conserva i caratteri di essere asociale e feroce che aveva abitualmente nell'antichità. Ma l'incarnazione delle paure notturne, della violenza, del disordine primordiale  non può che essere un'opera del Demonio.

A partire dal XIV secolo si sviluppa una vera psicosi collettiva; si moltiplicano le opere di demonologia, i riti di esorcismo e le condanne degli inquisitori. Molto rari sono coloro che, come Ambrose Paré, parlano della licantropia come di “una malattia chiamata così perché coloro che ne sono colpiti se ne vanno di notte urlando come dei cani o dei lupi ” o che, come Jean de Wier, che ne descrivono la sindrome: ”Coloro che vengono colpiti dalla follia ferina sono pallidi, hanno gli occhi infossati e la lingua molto secca”. Questa affermazione costò a Jean de Wier la fama di ateo ed ebreo!

Nel 1580, Jean Bodin pubblica la sua “Démonomanie des sorciers” dove, da buon giurista, riporta dei casi di licantropia giudicati davanti ai tribunali e rifiuta assolutamente di ammettere che possa trattarsi di una malattia perché  “gli accusati confessarono di aver rinunciato a Dio e di aver giurato di servire il Diavolo […].Michel Verdun condusse il secondo accusato in un luogo in cui ciascuno aveva una candela di cera verde che emanava una luce blu e oscura. Fecero dei sacrifici al Diavolo, delle danze; poi, dopo essersi uniti, furono trasformati in lupi, e correvano con una leggerezza incredibile. Poi si trasformarono in uomini, e spesso ritrasformati in lupi e accoppiati alle lupe con gli stessi piaceri che avevano d'abitudine con le donne”.

In un trattato di licantropia pubblicato nel 1615, l'autore descrive la metamorfosi: ”Il lupo mannaro cammina veloce come un lupo [...] sotto l'effetto di un dèmone cattivo che gli dà le sembianze di un lupo. Ha degli occhi spaventosi, scintillanti […]. Strangola i cani, taglia la gola ai bambini con i denti e ama la carne umana, come i lupi. Quando i lupi mannari corrono insieme, hanno l'abitudine di dividere l'uno con l'altro la propria caccia; se sono sazi urlano per chiamare gli altri”. Questa follia lupesca, che scatena il furore degli alienati, non può essere che una possessione demoniaca, nella misura in cui essa costituisce un pericolo per l'uomo, creatura di Dio.

Che la licantropia sia molto probabilmente un fenomeno di carattere onirico, una forma particolare di incubo, che costituisce senza dubbio una deviazione mentale – secondo i freudiani una pulsione sadico-orale – non elimina il fatto che essa sia stata vissuta collettivamente nel corso dei secoli come una realtà, una possessione demoniaca.
Essere lupo mannaro significa dunque essere posseduto dal Diavolo, in seguito a un patto stipulato con lui. Ma spesso la fantasia popolare ha trovato la causa della licantropia nell'effetto di una malefica eredità. Tutto accade come se, nella mente collettiva, si volesse marcare il carattere irremissibile di una certa colpa. Si pensava così che la metamorfosi colpisse coloro che la società considerava ai margini: i figli dei preti, per esempio, pagavano la colpa dei padri diventando lupi mannari per sette anni.
[ La nonna della Cappuccetto Rosso anglosassone del film “In compagnia dei Lupi” racconta alla nipotina una credenza popolare identica ]


"The Company of Wolves"

Una sintesi di tutte le credenze relative al lupo mannaro è stata fortunatamente stilata, prima che le tracce scomparissero nel corso del XVIII secolo, da alcuni eruditi locali che fissarono per iscritto le varie tradizioni orali più o meno segrete, bisbigliate tremando durante le notti di veglia. E' proprio grazie a queste informazioni che noi possiamo constatare fino a che punto queste credenze popolari si ispirassero concretamente ai rituali scomparsi della licantropia arcaica, che avevano delle caratteristiche precise: durata limitata della metamorfosi, necessità di passare attraverso una fonte o un lago prima di trasformarsi, caccia notturna, unguento o pozione come strumento di metamorfosi, legame simbolico fra la pelle villosa e l'attività sessuale eccetera. Signore della notte che si aggira minaccioso per le campagne e per i boschi, questo lupo mannaro ha incarnato dunque le paure e i fantasmi di una società rurale il cui paganesimo profondo è a lungo sopravvissuto proprio attraverso quelle tradizioni chiamate popolari."
[ In uno dei filtri magici di Medea descritti da Ovidio , uno degli ingredienti è un lupo mannaro. Ma è un lupo che sa trasformarsi in un uomo. Così come accade nelle fiabe popolari siriane, africane, giapponesi, cinesi... dove è sempre l'Animale che si trasforma in Uomo per ingannare, sedurre, uccidere.... non viceversa]

Da Michel Meslin , “Le Merveilleux” , 1984
“Il Bosco”, a cura di A. Mari e Ulrike Kindl.


[Ed ecco una breve "carrellata" a riprova che , nella tradizione popolare, il vampiro ed il lupo mannaro sono stati spesso confusi ed hanno, comunque, sempre camminato su strade parallele. Le credenze e gli esorcismi riguardanti i cadaveri - quindi , anche il lupo mannaro veniva considerato un morto vivente - sono identici. Continuo a sottolineare che l'unica grande, costante differenza fra il vampiro ed il licantropo sta nel concetto di maledizione ed ereditarietà sovente legato alla figura del lupo mannaro.]

...Poiché ai vampiri si attribuiscono le stesse caratteristiche dei lupi mannari (Voldkodlak ), la denominazione di queste creature sinistre viene spesso confusa: Vukodlak, Kodlak, Vedanec, Stregon, anche Premrl  (l'Irrigidito) e Vedomec (Colui che sa). Per lo più, però, si pensa al vampiro, contro il quale si hanno rimedi simili a quelli usati contro l'incubo.
Il Valvasor, ( libro VIII, p.753 ) riferisce di vampiri apparsi a Chersano (Krsan), Kringa e Lindaro. 
Che ce ne siano anche di sesso femminile è attestato da un fatto verificatosi nella Valle di Idria nell'anno 1435. Lì, una donna, dopo la morte, perseguitava i contadini per succhiare il sangue. La popolazione esasperata disseppellì la salma e la trapassò con un palo appuntito.
[....] Nel 1882, morì ad Abbazia un uomo che aveva fama, tra i contadini, di essere un lupo mannaro (Vukodlak): Per renderlo innocuo, alcuni di loro lo dissotterrarono di notte, lo portarono nella camera mortuaria, gli conficcarono dei grossi chiodi di bara nella fronte, nei fianchi e nei piedi. Quando il fatto venne denunciato, i profanatori vennero severamente puniti dalla giustizia.


Da Anton von Mailly, “Leggende del Friuli e delle Alpi Giulie”, 1922.


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