Appartengono al Cielo o al Mare? O, in realtà, sono partecipi di una dimensione che non è di questo mondo? E, quando hanno abbandonato le isole del sud del Mediterraneo, si sono ritirate nei corsi d'acqua dolce del Nord Europa e sono state chiamate Ondine, e con altri nomi ancòra, oppure l'antica Dèa che dava il proprio nome ai fiumi è stata sminuita nella leggenda di una fata che si pettina i lunghi capelli con un pettine d'oro, si ammira in uno specchio d'oro, tesse su di un telaio d'oro, e può essere generosa e misericordiosa, o crudele e rapace, a seconda del suo umore mutevole?
Intanto, i Miti a noi più vicini nello spazio e nel tempo, e la letteratura che spiega e rassicura ci offrono alcune alternative sulla loro origine.
In principio, furono donne-uccello. La tradizione classica le descrive come figlie del fiume Acheloo [1] e di una Musa [2], oppure, nate dal sangue sgorgato dalla fronte del loro padre, quando Eracle lottò con lui per Deianira. Il Dio si trasformò in serpente e poi in toro, e l'Eroe gli spezzò un corno, sconfiggendolo. Le Naiadi raccolsero il corno e lo consacrarono, colmandolo di frutta e fiori, quale simbolo dell'abbondanza: la cornucopia. Le Sirene, quindi, nacquero dal sangue di un Dio delle acque che Ovidio definisce "nume agreste" e dalla Terra.
Altri miti le vedono trasformate in uccelli nella parte inferiore del corpo dalla vendetta di Venere, disgustata dal loro rifiuto dell'amore carnale.
Ma si riteneva anche che la loro natura fosse stata mutata dalla vendetta di un'altra Dèa, Demetra. Esse erano infatti, le compagne di giochi di Persefone, ed avevano assistito impotenti al suo rapimento da parte di Ades, il Signore dell'Oltretomba.
Personalmente, preferisco la versione di Ovidio, che vede la loro metamorfosi come una preghiera esaudita, non come la vendetta di una Dèa folle di dolore.
"....a voi invece, figlie dell' Acheloo, donde vennero le penne e le zampe di uccello, mentre conservate il viso di fanciulle? Forse perché, quando Proserpina coglieva fiori di primavera, voi eravate nel numero delle sue compagne, o dotte Sirene? La cercaste allora invano per tutta la terra e poi, per trasferire sul mare la vostra ansiosa ricerca, formulaste il desiderio di poter remigare sui flutti con delle ali e foste subito accontentate dagli dèi: vedeste i vostri arti ricoprirsi di colpo di penne dorate. Ma per non perdere la possibilità di esprimere quel canto nato per la gioia delle orecchie, dote eccezionale delle vostre gole, manteneste volto e voce umani."
Ovidio, "Le Metamorfosi", vol. I (libro V,555).
Ovidio, pur definendole "dotte", parla del loro canto unicamente come di un suono soprannaturale, un dono di armonia e bellezza tali che gli Dèi non vollero privarne gli uomini. E, come Virgilio [3], colloca gli scogli delle Sirene presso Sorrento.
Per Omero, invece, che li pone fra l'Etna e Messina, l'arcano del canto delle Sirene andava oltre la sua perfezione. Le Sirene, due, attendevano le navi su di un'isola cosparsa di resti umani, e non incantavano gli uomini con la loro bellezza né con l'inarrivabile fascinazione del loro canto: promettevano la Conoscenza, perché esse stesse erano onniscienti. E gli uomini dimenticavano, rinunciandovi per sempre, la patria lontana, la casa, i figli, la vita stessa...Beffate da Odisseo, che aveva ascoltato l'inascoltabile restando vivo, si uccisero lanciandosi in mare.
Ciò le pone definitivamente nel Regno dei Morti. La forma più antica che gli uomini hanno dato all'Anima, quando ne hanno formulato il concetto, è stata quella di un uccello. Poi, da forma propria dell'anima, l'uccello divenne la forma assunta dall'anima dopo la morte dell'essere umano in cui aveva dimorato. E sempre un uccello era lo psicopompo per eccellenza, colui che accompagnava l'Anima oltre la soglia, al cospetto del Signore degli Inferi. Collegata con il Regno dei Morti era la Conoscenza degli oracoli, e in quei luoghi dove il culto delle Sirene era praticato certamente operavano degli oracoli. Guardiane, sacerdotesse, veggenti, custodi dei Segreti, non tendevano trappole, non rientravano nelle mostruosità dei mari ignoti. Il "mostro" fu Odisseo, perché da vivo e restando vivo, attraversò il confine tra Vita e Morte, e ascoltò e conobbe. Nessun essere umano avrebbe dovuto sopravvivere a quell'esperienza.Personalmente, non credo che le Ondine e gli innumerevoli spiriti acquatici cui sono state accostate, ne costituiscano l'ennesima mutazione o dislocazione: coesistevano - in un tempo che già apparteneva all'Era dello Spodestamento - avendo un destino comune: la caduta delle Dèe delle acque, solo uno degli aspetti dell'Unica - Signora della Fecondità e della Rinascita, e, quindi, anche del Mondo dei Morti - rimpicciolite, ridotte a larve di donne di cui Esseri crudeli e amorali si rivestono per ingannare l'uomo così folle da ascoltare le loro false promesse.
La grande Dèa Astarte o Ishtar o Iside o...
[2] Tersicore o Melpomene.
[3] "Si lasciò alle spalle il regno del figlio di Ippota, le terre fumiganti per il calore dello zolfo e gli scogli delle Sirene, figlie dell'Acheloo..." Ovidio, "Le Metamorfosi", vol.II (libro XIV,86).
Il figlio di Ippota è il Dio dei venti, Eolo, il cui regno è costituito dalle isole Lipari, poi chiamate Eolie .
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