sabato 18 maggio 2013

Mastro Francesco Mangia-e-Siedi (Calvino e Pitrè)

Cappuccetto Rosso in Italia: una Fiaba Tanto Più "Soft"?


Dalle note di Calvino alla fiaba n.26 della sua raccolta, "Il Lupo e le Tre Ragazze", Verona.

"Cappuccetto Rosso è una fiaba che non si può dire popolare in Italia, dev'essere giunta sul Garda dalla Germania (nel finale è simile alla versione dei Grimm anziché a quella di Perrault) ma con la variante d'una Cappuccetto moltiplicata per tre. Le rime a filastrocca nel dialogo con il lupo sono un arbitrio mio, per seguire l'avvio d'una battuta dell'originale: Vago a Bagoforte a catar me mama che sta mal da morte. Quelle che ho chiamato torte sono nell'originale spongàde, una specie di panettoncini. Ho omesso poi una progressione troppo truculenta per questo tenue contesto: il lupo uccide la madre e dei nervi fa la corda del saliscendi, della carne una focaccia, del sangue, vino. La bambina tirando il saliscendi dice: Che corda molegata che te gh'è, mama, e così continua, mangiando la focaccia e bevendo il vino..."

Dopo aver straziato, edulcorandola, la fiaba popolare veneta, Calvino ha inserito nella sua raccolta un'altra fiaba (168) che richiama da vicino "Cappuccetto Rosso", "Mastro Francesco Mangia e siedi", (come il solito) liberamente tratta da Pitrè  n.127, "Mastru Franciscu Mancia-e-sedi", Borgetto (Palermo)
"...essa vale soprattutto come una commedia di costume che pare nata dall'esperienza delle ragazze mandate a servizio nelle case signorili, con quel ribrezzo per la vecchia signora malata, per le sue smancerie; e con quel personaggio di sfaticato di paese, così ben descritto ("e doppu si mittía cu 'na coscia ccà e 'na coscia ddà, stannu sfacinnatu e cuntenti")".

Fortunatamente, posso riportare l'originale, tradotta dal Siciliano da Cecilia Codignola per la Savelli.


Mastru Franciscu Mancia-e-Sedi

na volta si conta e si racconta che c'era un calzolaio che si chiamava Mastro Francesco, e siccome era così pigro che non so dir quanto, la gente lo chiamava Mastro Francesco Mangia e siedi. Questo Mastro Francesco aveva cinque figlie femmine una più bella dell'altra e instancabili come il sole, che le faccende le facevano a piene mani. Ma che dovevano fare, poverette, se il padre non guadagnava nulla, non voleva lavorare, e dovevano mantenerlo le figlie! Si alzava, si vestiva, se ne andava in osteria e si beveva tutto il guadagno delle figlie.
Infine, una volta le figlie lo costrinsero a mettersi a lavorare. Prese la sporta, la forma, se le gettò al collo e andò per le strade gridando:
"Ripariamo scarpe!"
Ma chi lo chiamava, che tutti sapevano che era il più grande pigro e il peggior ubriacone del paese! Quello, Mastro Francesco, quando vide che in paese non acchiappava una mosca se ne andò in un altro paese, mettiamo tre miglia lontano:
"Ripariamo scarpe! Ripariamo scarpe! Ripariamo scarpe!"
Poverino, stava già perdendo la voce e nessuno lo chiamava, e intanto lo stomaco gli dava delle fitte come Dio comanda:
"Oh! Sortaccia cornuta! - disse Mastro Francesco - mi vuoi proprio morto? E che, dalla fame mi devo mangiare la mia stessa carne?... Santo...! Non ne posso più!... Ripariamo scarpe!"
In quel momento, che già stava oscurandosi, lo chiamò una signora da un bel palazzo e gli disse:
"Riparatemi questa ciabatta che l'ho sfondata".
Dopo che Mastro Francesco l'ebbe riparata quella, la signora gli diede un soldo e poi gli disse:
"So che avete cinque belle figlie nubili: io sono malata e ho bisogno di essere ben curata da una ragazza operosa; mi volete dare per serva una delle vostre figlie?"
Mastro Francesco rispose:
"Sissignora, ve la mando, vossia; domani l'avrete qui".
Allora partì e se ne tornò a casa. A casa raccontò tutto quanto alle figlie, e poi alla figlia maggiore disse:
"Domani, figlia mia, ci vai tu".
Lasciamo lui e prendiamo la figlia che la mattina dopo se ne andò dalla signora:
"Ah, sei venuta, figlia mia! Siedi qui, dammi un bacio. Ora tu con me camperai felice, con tutti i divertimenti e gli sprechi che vuoi. Lo vedi, io non mi posso muovere dal letto. Perciò sei padrona di ogni cosa. Vai, figlia mia, scopa e rassetta la casa, poi ti lavi e ti vesti ben pulita: così almeno, alla venuta di mio marito, ti trova con ogni cosa in ordine".
La ragazza si mise a scopare e spinse la pedana per scopare pure sotto il letto. Lì cosa vide! Una coda così che usciva da sotto la signora: "Signore aiutatemi! È mamma-drago, non signora: salvatemi voi!"
E si ritirò adagio adagio all'indietro. "A te dico, devi scopare dappertutto ma non sotto al letto, che non voglio".
La ragazza finse di andare in un'altra camera e quatta quatta se la svignò verso casa sua.
Prendiamo allora Mastro Francesco, quando la vide tornare:
"Perché sei venuta?"
"Padre, è mamma-drago, non signora: io ho paura; ché sotto il letto ho visto una coda nera e pelosa e non ci voglio tornare più"
"E che è? - rispose Mastro Francesco - Tu stattene a casa che ci mandiamo la seconda".
E così fece. Mandò la seconda figlia dalla signora e la signora le fece le stesse carezze e le disse le stesse cose.
Ma quella ragazza, che stava in guardia per quello  che le aveva detto la sorella, si accorse della coda, che a prima vista non sembrava, e fuggì come il rimbalzo di una palla, verso casa sua, e alla sorella e al padre racconta tutto, pane al pane e vino al vino.
Mastro Francesco, che non si dava pace di aver perso il buon salario della signora, che era tanto da poter mangiare e vestirsi come ricchi senza far niente, che fece? Gli mandò la terza figlia e poi l'altra e infine la più piccola, e tutte tornarono a casa spaventate dalla coda nera e pelosa di mamma-draga.
"Meglio qua - dicevano - meglio casa nostra e lavorare notte e giorno a sudare di sangue, con questa robetta pulita e nostra, con tutto che è vecchierella, che stare dalla draga, mangiare e vestir bene con poca fatica, e poi essere mangiate dal drago. Padre, se avete questa intenzione andateci voi dalla draga".
Neanche dopo tutto questo Mastro Francesco si poteva rassegnare, era capace di sbattere la testa contro i muri:
"Possibile - diceva - che 'ste figlie non vogliano guadagnare loro e neppure vogliano far guadagnare me? Ma non c'è niente da fare, loro sono tante e giovani e non le posso costringere; la cosa migliore è che ci vada io dalla signora, e le faccia io da servo: il servizio è leggero, la signora mi vuol bene e io sto lì, mangio e vesto come un principe".
Così fece e se ne andò dalla mamma-drago e le raccontò tutto.
La mamma-drago si mise a trattarlo come un principe. A lui bei vestiti, buon cibo, anelli d'oro in quantità, e poi divertimenti e sciali quanti voleva. Aveva solo da fare la spesa per padre-drago e pulire la camera e le cose di mamma-drago, e poi si metteva una gamba qua e l'altra là e se ne stava senza far nulla, ben contento. Ma dopo un po' di giorni, mamma-drago l'afferrò per un braccio, lo strinse così forte che non poteva scappare e gli disse:
"Mangia e siedi, da che parte vuoi essere mangiato, dalla testa oppur dai piedi?".
Lui vedendosi a mal partito si fece piccolo piccolo e tremando come una foglia rispose:
"Perché non ho dato retta alle mie figlie e a mia moglie? Per i piedi".
Allora mamma-draga con una gran sorsata se lo ingoiò tutto intero senza lasciarne neanche l'ossa.
Le figlie restarono tranquille e contente, e Mastro Francesco morì come un fetente.

E chi l'ha detta e per chi l'ha fatta dire
Della sua sorte non possa morire.





Scott Gustafson



Pitrè  n.127, "Mastru Franciscu Mancia-e-sedi"
La fiaba in Siciliano è nella pagina, "Fiabe Popolari - Italia".

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