lunedì 13 maggio 2013

Le Cenerentole Amare di Luigi Capuana


Posto una fiaba curiosa, "La Figlia del Giardiniere" di Luigi Capuana. Amo gli opposti, evidentemente. Oscar Wilde e Luigi Capuana: il giorno e la notte. Ma anche no (ehm!).
In generale, mi pare ovvio, preferisco le fiabe popolari a quelle "di autore",
Oscar Wilde, con la sua estrema raffinatezza, supera qualsiasi definizione. Eppure, le sue fiabe conservano gelosamente tutti i motivi del folklore irlandese: basta saperli  "leggere". Capuana riproduce il sapore popolaresco che non gli appartiene: le sue " fiabucce" sembrano narrate da uno dei contastorie del Pitré. Eppure, in un certo senso, accanto ai motivi derivanti dalla tradizione popolare o che la riecheggiano, introduce personalissimi tocchi raffinati quasi quanto la sofisticata favolistica di Wilde: la malinconia ed il mistero.

"La Figlia del Giardiniere" mi è "scappata di mano".  Ma certi personaggi, una volta che sono penetrati nel tuo immaginario, hanno davvero una vita propria e decidono loro il momento in cui affacciarsi. Ricordo perfettamente quando ho letto queste fiabe per la prima volta, da bambina. Ricordo l'effetto che ebbero su di me, allora. Come tutti i classici, i più nobili, intendo, le fiabe cambiano con te. Anche il "David Copperfield" dei miei sette-otto anni è diverso dal David quindicenne, o trentenne... Sarebbe terribile il contrario.
Ricordo che, abituata alle "cenerentole" perennemente dolci e docili, tenere, rassegnate al loro destino, buone fino ad un sospetto di masochismo, mi urtò questa ragazzetta storpia e cieca, lagnosa, amara, disperata. Nel mio immaginario infantile, infarcito di novelline, fiabucce e film dove le invalide erano seeeempre buone e dolcemente meste, o , addirittura, di un (disgustoso) perenne buon umore cinguettante (per la serie: "La vita è meravigliosa, se sono TANTO felice io...."), la ragazza che brancicava e strappava fiori con disperazione, e rimproverava amaramente e follemente il padre giardiniere perché non l'amava abbastanza da piantare per lei "il fiore che ridà la vista" e da innestare  "l'albero il cui frutto raddrizza le gambe " mi parve sgradevole e stridente.
Come e perché, infine, si guadagnava guarigione e principotto innamorato?
Ero abituata al masochismo premiato.
Nonostante tutto, però, la rileggevo, perché aveva un fascino unico.
Come molte delle fiabe di Luigi Capuana.
Più grandicella, capendone poco, non potei fare a meno di cògliere la stessa aria cupa, bizzarra e sassosa ne "la Lupa"di Verga, ad esempio. Per fortuna, leggevo da ingorda senza regole. Non ero abituata a seguire le " istruzioni per l'uso", ovvero saltavo a pie' pari introduzioni storiche, biografie, prefazioni, ecc.,ecc.,ecc... Se avessi saputo allora - è un misero dettaglio - che Capuana aveva avuto una relazione con Sibilla Aleramo, avrei drizzato le 'recchie... Se avessi letto allora "Il Marchese di Roccaverdina" avrei, forse, compreso e riconosciuto certi temi contorti come certi alberi e come le gambe di una certa "cèchina", quell'attrazione incoerente per una sorta di scuro spiritualismo -spiritismo contadino, intriso di suggestioni irrazionali, di superstizione, di cantilene ipnotiche, ossessive ed ossessionanti. Avrei capito, ma non avrei sentito, e quella fascinazione non la subirei ancòra e con tanta delizia...


Millais J.e.


E appena la balia fu andata via, la bambina cominciò a cantare lamentosamente; pareva che piangesse.
"Che cosa canti, figliuola mia?"
"Canto la mia mala ventura. Ho gli occhi e non ci vedo; ho le gambe e quasi non posso camminare!"
"C'è chi sta peggio di te, figliuola mia. Tu hai tuo padre che ti vuol bene, e tanti fiori nel giardino."
"Se mio padre m'avesse voluto bene, avrebbe piantato il fiore che rende la vista. Se mio padre m'avesse voluto bene avrebbe innestato l'albero il cui frutto raddrizza le gambe."
"Chi t'ha detto queste sciocchezze, bambina mia?"
"Giacché sono sciocchezze, lasciatemi cantare!"
E riprese la sua nenia; metteva malinconia anche ai sassi ...

Mab


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