lunedì 13 maggio 2013

"La Figlia dell'Agha" - La Vera Storia di "Fanta-Ghirò"

Joshua Reynolds 

Un agha [1], che aveva una figlia, doveva andare in guerra. In gioventù era stato l'eroe più valoroso, ma ormai, giunto alla vecchiaia - aveva oltre settant'anni - il suo braccio era troppo debole per usare la sciabola e il suo corpo non era più adatto per cavalcare. Quando arrivò dallo zar l'ordine di partire, il vecchietto si mise a piangere.
'Dio mio, che devo fare? Non sono più in grado di combattere, ma non posso nemmeno disobbedire a un ordine dello zar!'
Mentre così si disperava, lo udì la figlia.
"Non preoccuparti , babbo, - lo rincuorò - dammi le tue vesti e le armi, riempimi le tasche di zecchini e fai portare dalla stalla un buon cavallo baio per me; indosserò le tue vesti, monterò sul baio e mi arruolerò al posto tuo."
L'agha non replicò e, anzi, preparò per la figlia tutto ciò che aveva richiesto e la fece partire. Tuttavia, senza farsene accorgere, la seguì. Quando, ormai buio, la figlia era prossima alla prima sosta per la notte, l'agha la superò per nascondersi dietro a un cespuglio. A un certo punto, da lì gridò:
"Fermati, eroe, o t'ammazzo."
La figlia non badò all'intimazione e con la sciabola sguainata corse all'assalto. Il padre, vedendola, disse:
"Fermati, figlia, sono io!"
"Che ci fai qui, babbo?" domandò la figlia.
"Volevo esser certo che tu fossi un bravo eroe" rispose l'agha.
"Avresti fatto meglio a restartene a casa per badare agli affari, - ribattè la figlia - E adesso, su, ritorna indietro."
Così ognuno prese la sua strada.
Arrivata la seconda sera, quando la figlia si stava preparando per la sosta notturna, l'agha la raggiunse di nuovo, si acquattò dietro un cespuglio e le gridò:
"Fermati, eroe, o t'ammazzo!"
Ma la figlia ascoltava appena e con la sciabola sguainata corse all'assalto!
"Non uccidermi, figliola,- gridò l'agha - sono io, tuo padre."
La figlia, allora, si arrabbiò.
"Tornatene a casa, babbo, ti conviene, perché se trovo un'altra volta qualcuno nascosto, costui non avrà salva la testa, neanche se sarai tu stesso!"
Detto ciò, ognuno andò per la sua strada.
Cavalcando, cavalcando, la figlia dell'agha arrivò in un seher [2]. Essendo ormai buio, decise di fermarsi in una locanda. La mattina dopo, prima della partenza udì un banditore gridare a tutti i militari l'ordine di non muoversi: dovunque si fossero trovati, avrebbero dovuto rimanere. Non potendo fare altrimenti, anche la figlia dell'agha si trattenne dove aveva trascorso la notte. Tuttavia, dopo un po'. non arrivando nessun'altra comunicazione dallo zar, si stancò di stare in ozio nella locanda, perciò andò in giro con il figlio dell'oste. Quando rientrarono, il figlio dell'oste andò dal padre e gli disse:
"Per Allah, babbo, il nostro ospite è proprio una bella ragazza!"
"Come, ragazza?" si stupì l'oste.
"Sì, questo eroe che va alla guerra è una ragazza,- rispose il figlio.- Perdio, babbo, chiedila in sposa per me."
"Sembra davvero troppo bella per essere un eroe,- acconsentì l'oste - ma le vie del Signore sono infinite; senza una prova non si può essere certi che sia una ragazza; sai piuttosto che devi fare, figliolo? - aggiunse - Portala nel giardino: se è una ragazza sicuramente raccoglierà i fiori, altrimenti si stenderà all'ombra vicino all'acqua, comincerà a cantare, avrà voglia di vino o di grappa che farà rinfrescare nell'acqua mentre riposa."
Il figlio, proprio come il padre aveva suggerito, si incamminò con la figlia dell'agha nel giardino; attraversando il djulistan [3], ella non degnò di uno sguardo le rose, ma non appena si avvicinò all'acqua, corse subito all'ombra, si mise a cantare di gusto, ebbe voglia di vino e di grappa da far rinfrescare nell'acqua.
Il figlio dell'oste, rientrando dal giardino, disse al padre che l'eroe aveva cantato all'ombra e che aveva avuto voglia di vino e di grappa, mentre ai fiori non aveva rivolto neanche lo sguardo. Nonostante ciò insisté:
"Perdio, babbo, chiedile di essere mia sposa."
E l'oste di nuovo:
"Figlio, è difficile capire la giustizia di Dio: non puoi sapere se è un maschio o una femmina senza accertartene prima. Sai che devi fare, figlio mio? - proseguì - Conducila in riva al mare azzurro: se è una femmina certamente cercherà di bagnarsi i piedi vicino alla riva; se è un maschio, salirà su una roccia e si tufferà in mare."
Il figlio ubbidì e accompagnò l'ospite al mare: lui si sedette accanto all'acqua, ma la figlia dell'agha salì su una roccia, si tuffò, dopodiché nuotando tornò a riva, deludendo moltissimo il figlio dell'oste.
Tornarono a casa. Rientrati alla locanda, la figlia dell'agha decise di fare una passeggiata nel giardino. Camminando, all'improvviso si trovò di fronte un serpente che alzando la tesolina disse:
"Brav'uomo, va' dall'oste e comprami da lui, ti sarò di grande aiuto."
Sentito ciò, la figlia dell'agha si recò dall'oste e chiese di comperare il serpente. L'oste chiese cinquanta zecchini, ma la figlia dell'agha gliene offrì solo venticinque. Si misero a mercanteggiare così, finché l'oste non abbassò il prezzo a venticinque. La figlia dell'agha gli contò i venticinque zecchini, tornò nel giardino e prese il serpente che disse:
"Brav'uomo, è davvero ua fortuna che ci siamo incontrati: io sono il figlio dello zar dei serpenti. Prendimi in braccio e portami nel luogo che ti indicherò; quando arriveremo, a un mio fischio tutti i serpenti si raduneranno intorno a noi e ci porteranno da mio padre. Mio padre ti chiederà dove mi hai preso e tu risponderai: 'Dio me l'ha dato'. Lui dirà: 'Non è vero. Dio lo ha dato a me', tu, allora, replicherai che mi hai comprato; lui risponderà:'Se lo hai comprato, vendimelo' e ti offrirà un mucchio di soldi, di pietre preziose, farmaci, veleni e tutto quello che puoi solo immaginare: tu, però, non cedermi, digli invece così: 'Non voglio nulla, tranne il tuo piccolo baio'. Se ti darà il baio per me, allora cedimi".
Tutto andò come detto. Il serpente condusse la figlia dell'agha in un posto, fischiò e in un battibaleno arrivarono i serpenti che li condussero dal re delle serpi. Costui per il figlio offrì tutto il tesoro, l'oro, le pietre preziose, tutti i farmaci e i veleni. La figlia dell'agha non volle però cedere il serpente se non in cambio del piccolo baio. Il re delle serpi non accettò la proposta perché proprio non voleva staccarsi dal cavallo. La figlia dell'agha, allora, si infilò il serpente all'interno della camicia e fece per andarsene. A questo punto, lo zar dei serpenti fu severamente rimproverato dai nobili e dai parenti che avevano assistito alla scena.
"Se non vuoi pagare per il tuo stesso figlio, che cosa mai faresti per noi?" gli dissero.
Questo richiamo fece cambiare idea allo zar. Chiamò la figlia dell'agha, le diede il baio e in cambio ottenne suo figlio. La figlia dell'agha e il baio se ne andarono.
Dopo essersi allontanati, il cavallo disse:
"Caro padrone, è davvero una fortuna che ci siamo incontrati. Salimi in groppa e dimmi dove vuoi che ti porti. Appena ti muoverai sulla sella, saremo già dove desideri".
La figlia dell'agha gli ubbidì chiedendo di essere portata nella locanda dove aveva trascorso una notte; salì sul cavallo, chiuse gli occhi, si mosse appena sulla sella  e immediatamente si trovò nella locanda.
Da parte dello zar non erano ancora arrivati ordini per cui la figlia dell'agha vendette il cavallo che il padre le aveva dato per andare in guerra. Poi, chiese al baio che cosa volesse mangiare. Questi rispose che mangiava solo uvette e riso e che beveva solo acqua. Gli procurò da mangiare e poi disse:
"Non sono arrivati altri ordini dallo zar e io non so cosa devo fare, né dove devo andare; portami a Stambol [4] così che possa vedere cosa ne è dell'esercito". Detto ciò, montò sul baio, chiuse gli occhi, si mosse in sella e quella stessa notte la trascorsero a Stambol.
La figlia dell'agha camminò quattro, cinque giorni per le vie di Stambol, attenta a tutte le grida del banditore riguardanti la guerra. Un giorno, udì quest'annuncio:
"Ascoltate, ascoltate, lo zar ha fatto scavare un fossato e darà la figlia in sposa a chi lo salterà".
La figlia dell'agha lo raccontò subito al baio che disse:
"Va' a vedere il fossato e poi torna a dirmi com'è".
Così fece, e quando tornò disse:
"Fratello baio, solo a guardarlo fa venire il capogiro, figurati a saltarlo: è profondo dieci arsin [5] ed è largo trenta".
Ma il baio le ordinò:
"Va' dal banditore e digli che domani salterai il fossato".
Il banditore, a sua volta, lo riferì allo zar che fissò la gara a mezzogiorno dell'indomani.
Il giorno seguente, dopo mezzogiorno, molta gente si riunì intorno al fossato: sembrava che tutta Stambol fosse uscita per strada. Lo zar in persona si mise in un angolo per assistere allo spettacolo. La figlia dell'agha, allora, montò il baio, strinse gli occhi, si mosse in sella e il cavallo, come se fosse alato, fece un salto di due volte la larghezza del fossato.
Lo zar fu felice di aver trovato un siffatto eroe; lo condusse al suo palazzo e gli diede la figlia in sposa. Fecero il banchetto di nozze e poi gli sposi furono accompagnati alla loro alcova.
L'indomani mattina, quando la madre chiese alla figlia notizie del suo matrimonio, la ragazza rispose:
"A dire la verità, le cose non vanno per niente bene".
E non migliorarono, né il secondo giorno, né il terzo, tant'è che la giovane sultana tornò dalla madre e disse:
"Ascolta, mamma, se io vedo un'altra volta il mio sposo, mi butterò in mare".
La madre raccontò tutto allo zar e così riunirono il consiglio per vedere come regolarsi con questo genero.
"Nonostante tutto è un bravo eroe,- disse lo zar - e mi dispiace farlo ammazzare. Ordiniamogli di andare a prendere la cavalla gigante, così di sicuro non tornerà più".
Si trovarono tutti d'accordo e comunicarono al genero dello zar che se voleva salvare la testa doveva andare a prendere la cavalla gigante.
Per la figlia dell'agha fu un vero colpo e si lamentò con il baio: "Fratello baio, adesso che faccio! Mi cacciano via per prendere la cavalla gigante".
"Va' in charshí [6], - rispose il baio - compra tre peli di bufala e con essi fa' una cavezza; dopo ti porterò a un lago - un lago veramente enorme. Vicino al lago ci sarà un albero secco al quale dovrai arrampicarti. Io nitrirò, il lago tremerà, la cavalla gigante uscirà e tu le dirai: 'Siediti tranquilla, vecchia, e non toccare il mio bambino'".
Dopo aver ascoltato tutto, la figlia dell'agha andò a comprare tre peli di bufala, di essi fece una cavezza, montò sul destriero, strinse gli occhi, si mosse un po' in sella e in un batter d'occhio arrivarono al lago.
Tutto andò come detto. La figlia dell'agha si arrampicò sull'albero secco, prese la cavezza in mano e, intanto, il baio nitrì. A quel punto il lago cominciò a tremare e ne uscì una cavalla grande, enorme, quasi come una casa. La figlia dell'agha gridò:
"Siediti tranquilla, vecchia, non toccare il mio bambino" e mise piano la cavezza alla cavalla che intanto si era fermata e calmata, quasi si trovasse a suo agio con la corda al collo.
Ritornarono a Stambol. Al loro passaggio la gente uscì per strada e tutti si stupirono nel vedere un eroe, in groppa a un baio piccolo, condurre una cavalla così grande. Lo spettacolo era talmente buffo che, senza volerlo, si misero a ridere.
Quando i due arrivarono dal sultano questi fu contento di ricevere la cavalla dei giganti, ma allo stesso tempo si dispiacque per il ritorno del genero-nongenero che, a quel punto, poté raggiungere la moglie e passare la notte con lei.
La mattina seguente la giovane sultana disse alla madre:
"Se il mio sposo verrà un'altra volta da me mi butterò in mare".
La madre lo raccontò al sultano e di nuovo riunirono il consiglio. Allo zar in fondo dispiaceva per il genero.
"Non sarebbe giusto, per il nome di Dio, farlo ammazzare, - disse - è sempre un eroe anche se come genero non vale molto; mandiamolo invece da Sehsada-jenidunjalì [7], a prendere lo specchio nel quale si vede il mondo intero. Da lì sicuramente non ritornerà più".
Tutto fu riferito al genero.
Questo fu un altro duro colpo per la figlia dell'agha. Si lamentò con il baio che le disse:
"Non so dirti cosa fare e come arrivare allo specchio, ma non c'è tempo da perdere: lasciamoci guidare dal caso e dalla buona stella".
La figlia dell'agha montò sul baio e partirono. Galoppando galoppando, passarono tutto un giorno, e un altro ancora stava per terminare. Era passata l'ora di jassy [8] e loro correvano ancora sotto il cielo stellato.
"Dove passeremo la notte e che faremo per lo specchio?" chiese la figlia dell'agha.
"Andiamo intanto in direzione del fuoco che vedi su quella montagna, - rispose il baio - Lì troveremo una vergine: rivolgiti a lei chiamandola madre e non aver più paura".
Giunsero al fuoco sul quale, in un paiolo, bolliva della carne umana; accanto ad esso giaceva la vergine con un seno buttato sopra la spalla.
"Sellam Alleikum, madre!" gridò la figlia dell'agha, e la vergine aprì un po' gli occhi.
"Sellam Alleikum, madre!" gridò una seconda volta, e solo allora la vergine si mosse.
"Sellam Alleikum, madre!" gridò la terza volta, e la vergine ricambiò il saluto:
"Alleikum sellam, eroe! Se non mi avessi chiamata madre, da qui non saresti uscito vivo. Sono settant'anni ormai che nessuno riesce a tornare vivo da qui".
La figlia dell'agha chiese allora:
"Dimmi, grande vergine, dov'è la casa e lo specchio di Sehsada-jenidunjalì?"
"Non te lo so dire, - rispose la vergine - ma mia sorella sulla terza montagna forse può aiutarti: va' da lei".
Proseguirono, quindi, e passarono la prima montagna, poi la seconda e, infine, arrivarono alla terza. Vi bruciava un fuoco, accanto al quale giaceva la vergine: era tutto come sulla montagna dalla quale erano partiti. La figlia dell'agha salutò:
"Sellam Alleikum, madre!"
La vergine non ricambiò il saluto. La figlia dell'agha la salutò e chiamò madre ancora cinque volte, finché la vergine non la guardò e disse:
"Alleikum Sellam! Ringrazia Dio che mi hai chiamata madre; sono centoventi anni che nessuno esce vivo da qui e non ci saresti riuscito nemmeno tu".
"Dimmi, madre vergine, - chiese la figlia dell'agha - dove sono i palazzi della jenidunjal-Sehsada e dove si trova il suo specchio?"
"Non te lo saprei dire,- disse la vergine - ma lì, sull'altro monte, c'è una mia sorella più anziana di me di vent'anni: se non sa risponderti lei, nessun altro potrà aiutarti".
Fu così che si diressero sull'altro monte. Anche lì il fuoco era acceso e su di esso, in un paiolo, bolliva carne umana; accanto stava seduta la vergine, come le altre sorelle.
"Sellam Alleikum, madre!" esclamò la figlia dell'agha; l'altra non rispose per ben sei volte. Alla settima volta, la vergine la guardò e disse:
"Ringrazia Dio, giovane eroe, che mi hai chiamata madre; sono centoquarant'anni che nessuno è uscito vivo da qui."
"Madre vergine, - disse la figlia dell'agha - sapresti indicarmi i palazzi di jenidunjal-Sehsada e dove posso trovare il suo specchio?"
"Attraversa questa montagna, - rispose la vergine - e scendi nella piana; al centro di essa troverai dei massi di pietra: in realtà, non sono massi ma uomini pietrificati; quando li avrai raggiunti scendi da cavallo e prega per le loro anime, poi, monta di nuovo in sella e arriva in fondo alla piana. Lì ci sono i palazzi della jenidunjal-Sehsada, con sette porte. Passerai cinque porte vuote mentre alla sesta troverai dei levrieri e alla settima dei cavalli; davanti ai levrieri ci sarà un mucchio di fieno, davanti ai cavalli un mucchio di ossa. A questo punto scendi da cavallo, metti il fieno davanti ai cavalli  e le ossa davanti ai levrieri; entra nel cortile e sali nelle stanze: là troverai Sehsada. Lo specchio è tra due finestre e non ti sarà difficile prenderlo; quando lo porterai via, però, sia i cavalli che i levrieri ti inseguiranno. Se riuscirai a oltrepassare i massi di pietra e ad arrivare all'inizio della piana, avrai salva la vita".
La figlia dell'agha seppe tutto quanto le serviva: soddisfatta ringraziò la vergine  e di corsa scese giù sino alla piana. Trovò i massi di pietra, scese da cavallo, pregò per la loro anima, rimontò, andò in fondo alla valle e arrivò davanti ai palazzi di Sehsada. Tutto era esattamente come la vergine le aveva detto: dopo aver attraversato cinque porte, alla sesta trovò i levrieri e alla settima i cavalli; davanti ai levrieri il fieno, e le ossa davanti ai cavalli. Mise quindi le ossa davanti ai levrieri e il fieno davanti ai cavalli e salì nelle stanze.





Lì trovò Sehsada che si era addormentata sul cuscino e accanto a lei, tra le finestre, lo specchio. Lo prese piano, scese nel cortile, salì sul baio e volò verso l'uscita. I levrieri  e i cavalli a questo punto presero a inseguirlo; ma chi avrebbe mai potuto raggiungere il suo baio? Fuggivano e fuggivano, correndo attraverso la piana e, quando passarono i massi, i levrieri gridarono:
"Se è un maschio, che diventi femmina!"
I cavalli:
"Se è una femmina, che diventi un maschio!"
Dopo di che smisero di inseguirli. Giunti a Stambol, la figlia dell'agha consegnò lo specchio al sultano che lo diede alla giovane sultana. Lo zar, da un lato era contento per quanto era successo, dall'altro no. Per la figlia era invece un dispiacere unico.
Calò la notte, il genero dello zar raggiunse la figlia del sultano nella sua stanza; del resto, dove avrebbe dovuto andare se non dalla sua sposa?
La mattina seguente, appena sorse il sole, la sultana bussò alla porta della stanza nuziale:
"Alzati, figliola, come mai sei in ritardo?"
"Aspetta, mammina, arrivo subito!"
Appena la ragazza uscì, la madre le domandò:
"Allora, figlia mia, come va?"
"Bene, madre, - le rispose,- che Dio dia la salute al mio sposo: la metà della salute del babbo, la metà della tua e anche la metà della mia!".

  1. Agha: parola turca.  Significato : a) Signore, Padrone; titolo che portavano alti dignitari militari o civili . b) Prima della riforma agraria in Bosnia, Proprietario Terriero. c) Titolo nobiliare inferiore al bey.
  2. Seher:  dalla parola turca "shehir". Significato: Città.
  3. Djulistan: parola di origine persiana. Significato: indica il rosaio, la parte del giardino dove vengono coltivate le rose.
  4. Istanbul
  5. Arsin: dal turco "arshyn"; è una misura di lunghezza corrispondente a circa 0,7112m; braccio.
  6. Charshì: parola di origine persiana. Significato: indica il centrocittà con il mercato o anche semplicemente il mercato.
  7. Sehsada-jenidunjalì: Sehsada è un nome proprio turco derivante da "Sheherezada" e significa: Principessa. Forse Jenidunjalì (dal turco jeni, "nuovo", e dunja, "mondo") può voler dire Principessa del Mondo Nuovo
  8. Jassy o Jatsy: dal turco yatsi, è la quinta preghiera musulmana, che si recita due ore dopo il tramonto.
Traduzione di Aleksandra Sucur, "Fiabe dei Balcani".

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