lunedì 13 maggio 2013

Storia di una Sirena - Puglia

na giovane donna di venticinque anni di nome Filomena, dai capelli neri e l'incarnato chiaro come la neve, una volta che il marito marinaio navigava in lontani paesi fu tentata da un giovane signore, gli cedette e divenne infedele.
Presto tuttavia subentrò il pentimento e appena tornato il suo uomo gli si gettò alle ginocchia confessando la colpa e domandandogli perdono.
Il marinaio, benché l'amasse grandemente, non corrispose alle sue implorazioni e decise di punirla . "Preparati a morire!" le disse.
La donna, atterrita, di nuovo supplicò strappandosi i lunghi capelli che sembravano di seta; ma vana fu ogni promessa per il futuro e vani i ricordi del passato.
Lo stesso giorno il marinaio la caricò a bordo della barca, sciolse le vele e appena fu distante dieci leghe dalla costa, l'afferrò per la vita e la gettò fra le onde.
'Ora sono vendicato! ' si disse, e mestamente tornò in porto ben immaginando il destino di quel corpo alla mercè dei pescecani.
Le sirene invece ebbero pietà della bella annegata, l'accolsero fra le loro braccia e la condussero nei loro palazzi incantati dove una schiera di donne splendenti l'attendeva per farle festa: e chi le pettinava le chiome, chi le profumava le mani e il seno, chi le poneva al collo di cigno una collana di rossi coralli; infine la Regina le pose questo nome: Spuma.
Senonché, pur confusa da tante premure e conquistata da quelle magnificenze, Filomena non riusciva a dimenticare le traversie terrene, il rimorso per il tradimento inflitto al marito riprendeva a torturarle l'anima, gli occhi di conseguenza si velavano di malinconia e il sorriso si spegneva sulle labbra. Per sollevarla da quella tristezza e darle un segno del loro affetto le sirene la iniziarono all'arte del canto malioso con cui da secoli attiravano gli ingenui marinai. Filomena-Spuma prese dunque posto nel cerchio delle compagne canterine, ma non sempre aveva voglia di emergere con loro; più spesso si
appartava, o vagava di qua e di là solitaria nel regno delle acque azzurre.
Una notte che il cielo e il mare erano illuminati dalla luna piena, ella scorse da lontano un vascello con le vele gonfie al vento di maestro, e mentre questo si avvicinava le sirene la trascinarono in superficie: "Vieni, vieni con noi a cantare" e circondarono la nave con note così soavi che d'improvviso si vide un uomo salire sul parapetto e slanciarsi nelle onde. Filomena con una stretta al cuore lo riconobbe: quel marinaio era suo marito.
Allora pregò le compagne che non lo uccidessero, né lo trasformassero in corallo o in bianco cristallo, che lo lasciassero vivo almeno per un giorno. Le sirene, impietosite dalle sue parole, accordarono ventiquattro ore al prigioniero ed ella, che era rimasta sola nella reggia sottomarina, si avvicinò alla cella dove era stato rinchiuso il marito e cominciò a cantare:

"Io ti conobbi in vita e a te fui ingrata
Tu mi amasti traendomi dal mio nido
Per condurmi al dolce talamo
e io ti tradii.
Oh quanto piansi per il mio tradimento!
Quanto piansi !
E piango ancora, amato mio .
Non riconosci le mie lacrime? "

Intese il prigioniero quella canzone e ne rimase stupefatto: poteva mai essere Filomena a cantare con quella voce sorgiva, la donna che egli aveva ucciso e gli si rivolgeva con tanto tremore?
La canzone proseguiva:

"Per salvare te io rischierò le catene
Le sirene forse non mi perdoneranno
di ridare la libertà
a chi era destinato a morire."

Poi si fece ancora più da presso alla cella e disse sottovoce:
"Ascoltami, Michele. Le sirene sono qui intorno a giocare ed è già tardi. Sta per sorgere il sole e tu sai che il giorno esse riposano e la notte tendono reti ai marinai. Questa sera stessa, appena si saranno allontanate dal palazzo, io verrò a prenderti. Tu abbracciati a me fiducioso e lasciati guidare."
Passò quel giorno, giunse la sera, e il marinaio dubitava che la sua donna venisse a salvarlo. Ma ecco che ella si presentò raggiante di gioia, gli tese le braccia e insieme fluttuarono per ore e ore finché non sfiorarono la prua di un bastimento.
"Adesso domanda aiuto a quei naviganti" gli suggerì la donna.
Il marinaio gridò tre volte, dalla nave fu calata una scialuppa e venne issato a bordo nell'attimo in cui Filomena, compiuta la sua opera, risprofondava negli abissi.
Tornato a casa, Michele ricominciò a vivere le sue giornate con animo tutt'altro che sereno: era assalito dai rimpianti, si aggirava per le stanze senza requie e non c'era oggetto che non gli richiamasse alla memoria la sua donna e non c'era suono che non gli ricordasse le parole melodiose da lei sussurrate man mano che lo liberava dall'incantesimo.
E allora si accorse che non poteva più sfuggire a un obbligo: salvarla o perdersi accanto a lei.
Si addentrò in una foresta, sedette sotto un noce dove correva fama si radunassero le fate a danzare e strologare, e attese.
D'un tratto scorse fra i rami una brutta vecchia che sorrideva.
"Chi sei tu?" gli domandò la megera.
"Un infelice!" esclamò il marinaio.
"Perché infelice?"
Michele capì che la vecchia era una fata e avrebbe potuto aiutarlo, e con l'animo aperto alla speranza le narrò in ogni particolare i casi della sua vita.
"Tu mi sembri un bravo giovane - disse infine la vecchia - E io voglio farti riacquistare tua moglie. A un patto però."
"Accetto senza fiatare. Farò quello che vorrete" si profuse Michele.
"E allora ascolta: a notte fonda dovrai tornare qui e deporre ai piedi di quest'albero un fiore che si trova solo nei palazzi delle sirene e che si chiama il più bello."
"Ci proverò" disse con mille dubbi in testa. Si diresse al molo, s'imbarcò sul suo legno e sciolse le vele al vento.
Sopraggiunta la notte, calcolò che aveva navigato per oltre dieci leghe e che era tempo di chiamare la moglie. La chiamò, infatti, e subito la bellissima Filomena gli apparve tra le spume.
"Amore mio - le disse - son venuto per salvarti".
"E come? " domandò la poverina.
"Devi solo riuscire a prendere il fiore che chiamano il più bello nel palazzo delle sirene."
"Oh, amore mio - rispose tristemente - chiedi l'impossibile. Il fiore che tu dici fu tolto alle fate e manda profumo celestiale laggiù nei nostri palazzi. Ma il giorno in cui tornasse sulla terra morirebbero cento sirene ed io sarei tra queste."
"Tu non morrai - insistette il marito - perché una fata di sicuro ti proteggerà. Perciò devi a qualunque costo procurare il-più-bello".
"Vieni domani - disse assorta Filomena - e ti farò sapere".
L'indomani il marinaio attese all'àncora che la moglie emergesse, e appena quella ricomparve sulla cresta di un'onda le domandò: "Ebbene?"
E lei: "Ho riflettuto e ho indagato. Perché possa ottenere il fiore è necessario che tu compia un sacrificio."
"Quale?"
"Vendere ogni tuo avere e col denaro ricavato acquistare i più bei gioielli che si ammirino nelle principali vetrine del regno. Le sirene, attratte dal luccichìo, si allontanerebbero dal palazzo di cristallo e io potrei rapire il fiore."
"Tutto qui? - disse rinfrancato il marito - Mi vedrai presto di ritorno."
In pochi giorni vendette ogni suo avere e acquistò i più rari gioielli del regno.
Col prezioso scrigno si recò in alto mare e a uno a uno li fece brillare al sole mattutino.
Le sirene, abbagliate da quegli splendori, presero a seguire a frotte la barca, invocando chi un orecchino chi un pendaglio chi un bracciale chi un fermaglio... E intanto che Michele si adoprava a pararle si udì d'un tratto un tremendo boato sottomarino e l'acqua si levò a immense altezze.
Le sirene compresero allora quel che era avvenuto, ma ormai era troppo tardi: a cavallo di una scopa si vide navigare per l'aria una vecchia fata che si portava dietro la bella moglie del marinaio col fiore rapito.

Da :" Superstizioni, pregiudizi e tradizioni in Terra d'Otranto" di Giuseppe Gigli






Calvino ha riportato questa fiaba nella sua raccolta, direi quasi parola per parola, contrariamente al suo abituale modo di procedere. Se questa storia si è parzialmente salvata dal calvinismo, probabilmente, è perché era sufficientemente poco popolare.
Esteticamente non mi piace affatto, ma offre qualche spunto curioso, soprattutto se si tengono in mente le sirene di O.Wilde e H.C.Andersen... ma anche un paio di altre fiabucce. Riporto il commento/nota di Calvino corrispondente alla sua versione di questa fiaba-novella.




"Giuseppe Gigli tradusse le fiabe da lui raccolte in un italiano lirico da cui nulla si può intravedere dello spirito con cui erano narrate, e il suo testo è il meno adatto per servire ad un lavoro come il mio."

Mi permetto di osservare che "sposerei " in toto questa affermazione... commentando le fiabe dello stesso Calvino, però! Perché di Calvino ormai sono diventate le varie, più o meno modeste, "fiabucce" popolari, se per metter giù la versione popolana di una Bella Addormentata o una Cenerentola ha scelto di "assemblare" il meglio (a suo giudizio) di tre o quattro varianti tratte da varie raccolte, senza neanche rispettare un filone regionale.
Viva l'unità d'Italia, ma mescolare, in una fiaba veneta o siciliana, dettagli narrativi di una variante marchigiana o pugliese solo per motivi estetici lèva qualsiasi patente di "raccolta di fiabe italiane" ad una raccolta di fiabe che Italo Calvino ha reinventato basandosi su raccolte popolari già esistenti. Sono piacevoli, le rileggo, ma sono sue.

" Pure, per questa storia della Sirena mi sono lasciato attrarre dai caratteri insoliti che presenta (il rifarsi alla tradizione classica delle Sirene; il motivo della riabilitazione dell'adultera) e ho voluto tentare di raccontarla in un linguaggio più semplice. "

Per chi non la conoscesse già, rimando a "La Sposa Sirena ", fiaba numero 132 della raccolta : "Fiabe italiane - raccolte e trascritte da Italo Calvino", edizione Einaudi. Dove quel "trascritte" è largamente smentito da Calvino stesso.
Quanto al resto... le fiabe mediterranee, tutte, ma, in particolar modo le fiabe greche e quelle della Magna Grecia, sono impregnate di motivi classici, semplicemente perché nascono da culture che quei classici li hanno partoriti, né è possibile sapere se questa fiaba, in origine, si rifacesse al mito delle Sirene o a qualche fiaba ancor più antica del Mito stesso. Poiché la solita linea: Religione- Mito-Leggenda-Fiaba non è un paradigma universalmente applicabile. Esistono fiabe che non sono affatto la degenerazione popolare di nobili leggende, ma le hanno create. Basti pensare a "Barbablu"....
Il motivo, poi, dell'adulterio punito con l'uxoricidio e neanche da ciò riscattato... La povera disgraziata deve anche rischiare la sua seconda vita per salvare il nobile cornuto! In un tempo, si presume, in cui, in genere, la moglie di un povero marinaio non cedeva alle lusinghe del nobilotto di turno, ma ne era valorosamente stuprata.
La colpa di Filomena sarà quella di non essersi fatta ammazzare nell'assalto. Da ciò l'impianto novellistico, a edificazione delle giovani spose e/o future spose.
Se qualcuno ha letto le Sirene di O.Wilde e di H.C.Andersen, qui da me o per conto proprio, vedrà che, da punti di vista comunque lontani anni-luce, resiste il concetto di peccato sovrapposto al Mito, peccato come materialismo/materialità, fino all'assenza di un'anima immortale, la "cosa morta". Qui le Sirene sono assimilate alle spietate Ondine, ai maligni Spiriti delle acque in genere. Senz'anima, appunto. Come animaletti pericolosi accorrono al luccichio di pietruzze colorate e scintillanti, salvano Filomena forse solo perché è bella, cercano di uccidere suo marito perché le Sirene, si sa, uccidono i marinai. Nelle fiabe pugliesi, e non solo, le streghe, a meno che non finiscano in un forno rovente, non vengono mai chiamate streghe: sono le "vecchie", le "mamme".
Si sfiora il ridicolo: c'è la brutta vecchia che non si fa i fatti suoi annidata fra i rami, c'è il dettaglio che i suddetti rami appartengono ad un noce intorno al quale le vecchie arzille "danzano". Addirittura, vengono chiamate "fate", tanto per stare proprio tranquilli! Non sia mai detto che si racconti la storia di un povero marinaio che, disperato, si rivolge alle streghe, e va a cercarle in un luogo, il noce, sotto il quale, notoriamente, esse tengono i loro sabba!

"Certo, se all'origine c'è veramente stata una tradizione popolare, queste successive e opposte sovrapposizioni di gusto ci portano chissà quanto lontano da essa. Prendiamo dunque questa fiaba con più riserve delle altre per quel che riguarda la sua 'popolarità'. I versi delle canzoni sono tutti inventati da me. La fata e la sposa salvata alla fine volano a cavallo d'una scopa: siccome non trovo altre scope volanti nel folklore italiano, l'ho sostituita con un'aquila." 

Sorvolo, è il caso di dirlo, sull'involontaria ironia di certe affermazioni e sottolineo che le canzoni a cui allude sono quelle che, nella sua "trascrizione", ha sostituito a quelle della fiaba originale (che io ho trascritto qui), arricchendole di ulteriori strofette cantate dalle sirene (per semplificare). Mi pare superfluo commentare la motivazione che lo spinge a sostituire la scopa con un'aquila e il fatto che non si renda apparentemente conto che, così facendo, abbia, in realtà, cancellato uno degli indizi evidenti che il narratore ( /i narratori ), pur chiamandole, per timore, "fate", in realtà stia parlando di vecchie, oneste streghe, con tanto di naso adunco, scopa e noce di Benevento!

Mab's Copyright

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