sabato 18 maggio 2013

La Civetta - Parte Prima - Tra Mito e Superstizione

Per la civetta l'oscurità è solo una variante del giorno, nel corso della notte, infatti, pare che a lei tutto sia concesso, anche scorgere certe minuzie, certi particolari, che a noi non è dato di discernere. Questi uccelli vedono la luce milioni di anni fa, formandosi dalla carcassa di piccoli dinosauri; 235 milioni di anni fa compaiono i primi strigiformi; a quell'epoca infatti risalgono i più antichi fossili ritrovati con caratteristiche ascrivibili all'ordine dei rapaci notturni. Il primo contatto documentato tra l'essere umano e gli strigiformi si ha nel paleolitico. Infatti, lo storico romeno delle religioni, Mircea Eliade, afferma che un certo Abbé Breuil trovò sulle pareti della grotta dei Trois-Frères in Francia, un'incisione davvero curiosa e cioè una figura che battezzata poi "grande stregone" ha la faccia di gufo e il corpo di uomo. E' chiara l'idea dei riti propiziatori per accattivarsi questo animale considerato totemico al punto da associarlo all'individuo.
Di questo parla molto ampiamente l'antropologo inglese Frazer nel Ramo d'oro, uno studio sulla magia e la religione che sa creare potenti suggestioni. Egli afferma che nella tribù Wotjobaluk, nel Sud-Est dell'Australia, si credeva che la vita di un Ngunungunut (pipistrello) fosse la vita di un uomo, e quella di un Yartatgurk (gufo) fosse la vita di una donna, e che ogni volta che fosse ucciso uno di questi animali, si troncasse la vita di un essere umano; e quando ciò accadeva ogni uomo e ogni donna della tribù temeva di essere la vittima, e ne derivavano lotte feroci tra i due sessi. In queste lotte fra uomini e donne la vittoria era tutt'altro che certa.
Questa credenza diffusa nella maggior parte dell'Australia del Sud-Est probabilmente si estendeva molto più in là ed anche tra alcune tribù di Victoria il pipistrello appartiene agli uomini e per difenderlo essi arriverebbero quasi ad ammazzare la propria moglie. Il gufo delle felci (Caprimuglio) appartiene alle donne, e, benché sia di cattivo augurio e la notte le sue grida facciano paura, esse lo proteggono gelosamente. Questa protezione non deriva da considerazioni egoistiche ma dal fatto che ogni uomo e donna crede che non solo la propria vita ma anche quella di tutti i suoi congiunti sia legata rispettivamente al pipistrello e al gufo. Ma quando si suppone che la vita degli uomini sia contenuta in questi animali è evidente che non si potranno più distinguere gli animali dagli uomini e gli uomini dagli animali, tanto che, recita ancora Frazer "se la vita di mio fratello è un pipistrello, il pipistrello diventa mio fratello". E allo stesso modo, "se quella di mia sorella è in un gufo, il gufo è mia sorella e mia sorella è un gufo".

La fonte dei guai e della fortuna della civetta parte dal mito di Ascalafo, figlio di Acheronte e di Orfne, cioè l'oscurità o la notte. Acheronte, precipitato nell'inferno al tempo in cui i Titani guerreggiavano contro Zeus, in questo luogo divenuto sua residenza, ebbe un figlio, Ascalafo appunto. Costui incautamente rivelò a Zeus che Persefone, figlia di Demetra, a dispetto del divieto emanato dal signore degli dei, aveva mangiato sette chicchi di una melagranata, frutto considerato proibito. Demetra indignata per la delazione trasformò Ascalafo in civetta, pensando di fargli un dispetto, in realtà cominciò così la sua fortuna perché era in grado di "vedere" nella notte. Così le civette diventano le fedelissime della dea Atena e tengono ben aperti gli occhi per lei durante il riposo di questa. Atena dunque affida alle civette la supervisione delle faccende notturne. Infatti le strigi sono fornite di un occhio telescopico la cui struttura tubolare è simile a quella dei nostri binocoli.
Ma anche nella simbologia cristiana la civetta vede nella notte più buia poiché ha negli occhi una forza luminosa che dissolve le tenebre e secondo una credenza della Francia meridionale e della Spagna questi rapaci alimentano la loro fonte luminosa con l'olio delle lampade votive per cui vengono chiamati succhialampade. E a questo proposito in Argentina si racconta ad opera di Jsmael Moya, autore di un testo sulle superstizioni sud-americane, che una guaritrice vedeva le malattie e di conseguenza le curava, scrutando negli occhi della sua civettina imbalsamata. Testimonianza ulteriore di questa chiaroveggenza sono gli stemmi araldici della Gran Bretagna: L'effige di una civetta d'oro in campo verde rappresenta l'uomo sapiente che vede le cose anche occulte in quanto saggio. Oscurità, saggezza, luce e vita solitaria; queste le atmosfere e le caratteristiche che da sempre accompagnano gli uccelli notturni e si intersecano tra loro. L'oscurità infatti non può essere disgiunta dalla luce e questa è a sua volta strettamente connessa con la visione che dà luogo alla saggezza.
Ma la saggezza è una dote che si conquista con fatica e non senza invidia. Allora, dall'atmosfera solitaria in cui vivono le civette scaturisce la potenza simbolica delle loro spiccate attitudini conoscitive, ma nello stesso tempo hanno origine anche le più tenaci superstizioni circa le loro virtù malefiche. Senza dubbio esse passano la maggior parte della loro vita in aristocratica solitudine e le loro curiose abitudini ed il loro costumi hanno finito con l'attribuire ad esse un'anima malinconica o addirittura demoniaca proprio perché abitano spesso i cimiteri.
In certe zone dell'America del Sud bisogna fare gli scongiuri allorché si incontrano in simili luoghi e allontanarsi subito pronunciando la formula "credo in Dio e non in vos", allo scopo di evitare il maleficio e respingere il demonio che ha le sembianze di questo animale. Quindi la solitudine notturna di un luogo come il cimitero non giova certo all'immagine della civetta. Per gli stessi motivi di solitudine e di privacy essa è considerata in Europa, in Asia e in Africa alleata della stregoneria; del resto anche in America, durante la civiltà pre-colombiana non gode di migliore reputazione. L'atmosfera di oscurità che predilige e il suo verso dalle molte tonalità inquietanti non mancano di stimolare i costumi più bizzarri. Nel Paraguay, ad esempio, ogni qual volta risuonava il canto di una civetta, gli Araucani si davano un gran da fare nel tentativo di scacciare i demoni. Allo stesso modo gli Indios, nel sentire il canto cupo di questi uccelli, ritenevano che coprire di insulti i poveri volatili bastasse per scacciare il male che portavano con sé.
Inoltre sempre a causa della sua predilezione per le rovine, la civetta viene considerata segnale di imminente distruzione. Una antica leggenda spiega in altro modo l'emarginazione delle civette: un tempo questo uccello era considerato soave cantore, ma ebbe la sventura di assistere alla morte di Gesù e da allora il suo destino è stato quello di evitare la luce del giorno e dalla sua gola non più canti ma versi lamentosi quali "cruz cruz" che in spagnolo vuol dire croce.
Ma anche al tempo dei romani la fama della civetta non era certo migliore.
Plinio sottolinea che se per caso uno di questi uccelli entrava in Campidoglio, bisognava sottoporsi a lavacri purtificatori per prevenire eventuali sciagure e, sempre secondo i latini, Giulio Cesare avrebbe incontrato la morte che tutti conosciamo perché un gufo, la sera precedente l'assassinio si è affacciato alla sua camera; ugualmente dicasi per Aurelio Commodo, infatti prima di morire un gufo era appollaiato nella sua stanza; e la stessa cosa avvenne anche per Augusto ed Agrippa.
Sempre per le abitudini scontrose delle civette si dice che le loro grida, che Eliano distingue in nove diverse tonalità, annuncino messaggi nefasti.
Maria Conte nelle Tradizioni popolari di Cerignola dice a questo proposito: "anche la cuccuvascie col suo grido monotono e triste è lugubre messaggera di morte. Come nelle altre parti di Italia, essa cova sul fabbricato di fronte a quello in cui si trova il malato, al suo grido fa eco il pianto disperato dei parenti che, facendosi il segno della croce ripetono: Biaite addò cove e maile addò cande" (beato dove cova e male dove canta)". Là dove canta indica il luogo della morte.
Giuseppe Gigli nelle Superstizioni, pregiudizi e tradizioni in terra d'Otranto tenta una spiegazione di ciò e dice: "cattivo augurio porta il canto della civetta; questo uccello, nei nostri paesi chiamato comunemente uccello della morte, annuncia che qualcuno della famiglia, sulla cui casa si poggia deve morire".
C'è o c'era, quando eravamo circondati di boschi un po' di ragione: le strigi assalgono di notte le loro prede e le uccidono all'improvviso, quindi presagiscono la morte. Inoltre, come afferma Zingaropoli, in L'anima delle bestie, i gufi e gli allocchi quando fanno una diversione in regioni e case insolite, indicano che ivi devono morire uomini, perché questi uccelli amano i cadaveri e ne hanno il presentimento; quindi tali uomini sono già cadaveri in partenza.
Nella pubblicazione Il Folklore italiano del 1932, apprendiamo: "la civetta è risaputo essere stata in ogni tempo uccello di cattivo augurio; eppure da un autore, Valletta, nella Cicalata sul fascino volgarmente detto jettatura, si legge che erano di buon augurio "aves inauspicatae foribus affixae", gli uccelli che si attaccavano alle porte e servivano a scacciare il malocchio.
In Animali e piante nella tradizione popolare di Giuseppe Calvia leggiamo alla voce civetta: "quando canta sul tetto di una casa o in qualche sito dirimpetto è segno di morte per qualche membro della famiglia. In Gallura il grido di questo uccello maledetto, che voli in prossimità o sul tetto della abitazione, dove in silenzio si riposa, incute forte spavento, poiché deve accadere o morte naturale o assassinio o altra disgrazia. E se la strige passa in direzione di un dormiente, costui si ammalerà di itterizia".
Bisogna ricordare ancora che nelle rappresentazioni del mondo infernale c'è un posto per questo uccello, che nella poesia latina ha l'epiteto di feralis; ed in alcune leggende popolari della Germania e della Scandinavia, la civetta è considerata spirito dei boschi ed il costume di inchiodare nelle porte delle case e delle fattorie le civette che si sono uccise, ubbidisce a queste idee. A questo punto è opportuno smorzare i toni negativi che accompagnano le civette e cercare invece di intravedere qualche atteggiamento di benevolenza nei loro confronti riportando la testimonianza di Giuseppe Gené che nel secolo scorso pubblicava un libro intitolato Dei pregiudizi popolari intorno agli animali in cui condanna la barbara usanza diffusa in Europa di inchiodare all'uscio di casa una civetta; uso che imperversava anche poiché si riteneva che questi rapaci divorassero gli animali da cortile. Gené afferma che le strigi non sono solo dannose, ma al contrario sono utilissime in quanto mangiano i topi con maggiore abilità dei gatti ed inoltre cerca di spostare la diceria che vede le civette messaggere di morte dal momento che cantano sul tetto delle persone in fin di vita, osservando che nessuno si è mai preso la briga di considerare i tetti della gente sana sui quali si posano e cantano questi volatili.[...]

Dal saggio "La Civetta dagli Altari agli Scongiuri", di Maria Altobella Galasso

Ulteriori testimonianze:

"...Virgilio per esempio racconta nell'Eneide che prima della morte di Didone venne avvistato nel cielo un gufo.
La medesima cattiva fama  le viene attribuita dalle Sacre Scritture. La civetta  è annoverata da Gioele fra gli animali impuri, mentre in un passo del profeta Isaia si dice che sul paese di Edom si abbatterà l'ira del Signore e su quelle terre, che diverranno deserte e desolate "il gufo e il corvo vi faranno dimora"
(Isaia, 34, 11).
Come spesso accade, e come non manco di rimarcare, su antichi Miti, su credenze arcaiche, su secoli di superstizioni si stratificano sub-significati. L'apporto del Cristianesimo è ed è stato ricchissimo.
"Secondo alcuni, la civetta, emblema di lutto e di morte, allude a coloro che non intendono riconoscere la vera luce: in questo caso si tratterebbe della cecità degli ebrei nei confronti di Cristo come Messia".




In questa "Crocifissione"(1475) di Antonello da Messina, i fiori rossi alludono alla Passione del Cristo, mentre i teschi e la civetta sono simboli di morte.Il serpente che sguscia fuori dal teschio in primo piano sottolinea la caducità della vita umana.


"Le Tre Età della Vita e la Morte", 1540,circa, Hans Baldung Grien.

Per quanto riguarda l'iconologia, come animale notturno "è attributo della Notte e come tale, per esempio, la ritrae Michelangelo sulla tomba di Giuliano de' Medici a Firenze.
La doppia simbologia viene ripresa da Cesare Ripa, che assegna l'animale alla personificazione del Consiglio - evocando l'immagine della dea patrona di Atene - ma anche quella della Superstizione, in quanto considerato animale di malaugurio dalle persone superstiziose".





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