lunedì 13 maggio 2013

Ifi: dal "Trans"-Mito alla "Trans"-Fiaba - (Ovidio)

Non mi infilerò in qualche ginepraio da cui non saprò o non vorrò uscire.
Antropologia, storia, mitologia, segnatamente quella greca e quella dei Goideli, fiabe - quelle della tradizione popolare, non "di autore" - sono un amore razionale, anzi, razionalizzato. Amo quel filo che serpeggia, si trasforma, si nasconde, riemerge e si fa scoprire da chi ne ha voglia. Purtroppo, Internet, se, da un lato, amplia conoscenze e libertà, dall'altro rischia di far carne macinata di personalissime conquiste... La condivisione  è / sarebbe una gran bella cosa, se giustamente tutelata. Tutto ciò per giustificare il mio volare basso, con le alucce ben strette sotto le ascelle.

L'esempio che riporto oggi non  è  certamente l'origine di questo tipo fiabesco - che annovera fra le varianti più famose l'insospettabile "Fantaghirò"! - anzi , siamo già in una fase disgregata del Mito. La fiaba - insegna Propp - non corrisponde necessariamente al gradino successivo della leggenda, che, a sua volta, rappresenterebbe la "volgarizzazione" del Mito.  A volte la fiaba è addirittura più antica del mito.




Ovidio: "Le Metamorfosi"  (Libro IX)

"Nella terra di Festo, vicina al regno di Cnosso, era nato tempo prima un certo Ligdo, dal casato sconosciuto, di condizione plebea, ma libero. Non era più ricco di quanto fosse noto, ma aveva fama di onestà e lealtà. Quando sua moglie fu vicina al parto, le comunicò queste intenzioni: ' Io ho due desideri: primo, che tu ti sgravi soffrendo il meno possibile; secondo, che tu partorisca un maschio. Se si verificasse l'altra possibilità, sarebbe per noi cosa molto gravosa, perché la fortuna non ci assiste. Dunque, nel caso deprecabile che tu dia alla luce una femmina, bisognerà sopprimerla. E' un ordine che do contro voglia e contro il mio istinto paterno'.
      A quelle parole avevano tutti e due il volto bagnato di lacrime, sia lui che dava tali ordini, sia lei che li riceveva. Tuttavia Teletusa non rinunciò ad assediare il marito con preghiere, purtroppo vane, perché non limitasse così le speranze della sua attesa. Ligdo non si mosse dalla sua decisione. E ormai ella faticava a portare il peso del ventre, giunto alla maturità, quando, nel bel mezzo di una notte, le sembrò che in sogno apparisse, o  forse apparve veramente, la figlia di Inaco, accompagnata dal sèguito dei suoi fedeli. Aveva sulla fronte le corna della luna insieme a spighe bionde e splendenti come oro, e il diadema, distintivo della dignità regale. Erano con lei il latrante Anubi, la santa Bubasti, Api, dalla pelle variegata e colui che reprime la voce  e invita col dito al silenzio; non mancavano i sistri  e c'era anche Osiride, che mai non si finisce di cercare, e il serpente gonfio di soporiferi veleni,  sconosciuto alla nostra terra.
      E a un tratto la dèa si rivolse alla donna, che aveva l'impressione di essere sveglia e di trovarsi al cospetto di una visione reale: 'O Teletusa, mia fedele, non affannarti più e ignora l'ordine di tuo marito.
Quando Lucina ti avrà fatto sgravare, solleva senza esitazione tra le braccia il pargolo e riconoscilo come tuo, di qualunque sesso sia. Io sono una dea che ama soccorrere e portare aiuto quando mi si prega. Non avrai da lagnarti di aver onorato una divinità ingrata! '
       Dopo aver comunicato  questo a Teletusa, la dèa si allontanò dalla camera. La donna di Creta si alzò felice dal letto e, levando verso le stelle in atto supplice le pure mani, pregò che quello che le era stato promesso dalla visione si avverasse. I dolori aumentarono e il feto venne espulso dal ventre materno per la naturale pressione.
       Era una bambina. La donna ordinò che la si allevasse senza dirlo al padre, cui invece annunziò, mentendo, la nascita di un maschio. La cosa fu creduta e solo la nutrice era al corrente della finzione. Il padre ringraziò gli dèi e pose alla creatura un nome di famiglia: Ifi. Così si era chiamato il nonno. La madre gioì di quel nome perché si adattava sia a una femmina che a un maschio e con quello non ingannava nessuno.
       La menzogna andava avanti coperta dal pietoso imbroglio: la bimba era abbigliata come un maschietto, aveva un aspetto bello, sia che lo si attribuisse a un fanciullo che a una fanciulla. Avevi tredici anni, Ifi, quando tuo padre ti promise alla bionda Iante, fanciulla famosa tra quelle di Festo per la sua avvenenza, figlia di Teleste del Ditte.
I due erano pari per età e bellezza e avevano appreso i primi rudimenti di un'elementare cultura dagli stessi maestri. Ne derivò un reciproco amore che toccò quei cuori fino allora ignari e inflisse loro un'uguale ferita: ma i due affrontarono il sentimento con diversa baldanza. Iante aspettava ansiosa il tempo stabilito per le nozze e riteneva che quello che credeva un uomo, da uomo si sarebbe comportato. Ifi, invece, amava una che non aveva alcuna speranza di possedere e proprio questo ostacolo fomentava la fiamma che faceva bruciare lei, vergine, per un'altra vergine.
Sforzandosi di non piangere si diceva:"Dove andrò a finire io che sono preda di una sconosciuta, strana e mostruosa passione? Se gli dèi volevano risparmiarmi, ebbene dovevano farlo! In caso contrario, volendo distruggermi, avrebbero dovuto infliggermi un male naturale e consueto! Una vacca non prova attrazione per un'altra vacca, né una cavalla per una sua simile; per amore di un ariete si infiammano le pecore e il cervo attrae le femmine della sua razza. Anche gli accoppiamenti degli uccelli sono governati dalla stessa legge: fra tutti gli animali, nesuna femmina è presa dal desiderio di un'altra! Vorrei non esistere! Riconosciamo che Creta ha la prerogativa di produrre ogni sorta di mostri: basti dire  che la figlia del Sole amò un toro, ma era sempre amore di femmina verso un maschio. Il mio amore, a voler essere sinceri, è più delirante di quello! Eppure Pasifae non rinunciò alla sua brama: ella assunse con l'inganno la forma di una vacca per congiungersi al toro, e quello era un amante che poteva benissimo essere ingannato! Nel mio caso invece, ammettiamo che ritorni in volo Dedalo con le sue ali di cera, che potrebbe mai fare? Potrebbe, con le sue arti raffinate, rendermi ragazzo da fanciulla che sono? O potrebbe cambiare la mia natura, o Iante? Perché non attingi coraggio da te stessa e ti riprendi dallo smarrimento, Ifi, liberandoti di questa stolta passione che non ha via d'uscita? Renditi conto della tua natura , a meno che tu non voglia ingannare anche te stessa: proponiti mete lecite e ama quello che una donna deve amare! E' la speranza che può catturare l'amore, è la speranza che lo nutre; ma a te la realtà la sottrae. Non è certo chi fa la guardia alla fanciulla amata a impedirti di abbracciarla, non è la sospettosa cautela di un marito, né la durezza di un padre e nemmeno un rifiuto che lei ti opponga. E tuttavia non puoi possederla! Cascasse il mondo, non puoi essere felice, anche se ci  si mettesse l'umanità intera insieme a tutti gli dèi! Anche adesso nessuno si oppone ai miei desideri. Gli dèi hanno fatto quello che hanno potuto; mio padre, Iante, il mio futuro suocero, hanno  le mie stesse aspirazioni. Ma le frustra la natura, che è più forte di tutti costoro. Lei sola mi è nemica. Ormai si appressa il giorno desiderato, quello delle nozze, e Iante sta per essere mia... ma non lo sarà mai. Avrò a disposizione tant'acqua, ma non potrò bere. Perché venite a questa cerimonia, o Giunone, protettrice delle nozze, e tu, o Imeneo,  quando manca lo sposo e ci sono invece due spose?"
Dopo questo sfogo, tacque. L'altra fanciulla era in preda a una passione non minore e auspicava che Imeneo venisse al più presto. Lei lo desiderava, ma Teletusa lo temeva: perciò cercava di temporeggiare, ora fingendosi malata, ora portando a pretesto presagi e sogni. Ma ormai non aveva più scuse da inventare e il tempo delle nozze, a lungo ritardate, era ormai prossimo: mancava solo un giorno. Teletusa allora tolse dai suoi capelli e da quelli della figlia la benda che li tratteneva e con la chioma sciolta, abbracciando l'altare, levò questa supplica: 'O Iside, che proteggi Paretonio, la palude Mareotica, Faro e il Nilo che si scinde in sette foci, aiutami, ti prego, e trova un rimedio al mio timore! Sei proprio tu, o dèa, quella che un tempo vidi, riconoscendo i distintivi del tuo potere, i suoni, le faci e i sistri del corteo che ti seguiva! I tuoi comandi mi sono rimasti impressi nella mente. Se mia figlia è viva, se io non sono per questo punita, tutto ciò è frutto dei tuoi consigli e dono tuo. Abbi pietà di tutte e due e aiutaci!'
La sua preghiera terminò in pianto. Le sembrò allora che la dèa facesse vibrare il suo altare (e lo scosse di fatto): le porte del tempio tremarono splendettero le corna simili a quelle della luna e il sistro risonante fece sentire la sua voce. Non del tutto rassicurata, ma lieta del presagio favorevole, la madre uscì dal tempio accompagnata da Ifi.
Quest'ultima camminava con passo più lungo del solito, il volto le si era fatto più abbronzato, appariva più robusta, lo sguardo era più fiero, i capelli più corti e scompigliati: era più vigorosa di quanto fu mai una femmina. Infatti non eri più una femmina, o Ifi, ma un ragazzo! Onorate i templi con doni e abbiate il coraggio della vostra fede! Essi lo fecero e incisero anche su una lapide un'iscrizione che consisteva in questo breve verso: 'Ifi, ormai uomo, scioglie quei voti che aveva fatto quando era fanciulla.'
Il sole del giorno seguente era sorto a ridare la luce all'universo intero, quando Venere, Giunone e con loro Imeneo si presentarono per partecipare alla festa e Ifi divenne il marito della sua Iante."


Traduzione di Giovanna Faranda Villa.


Qualche chiarimento per chi non amasse la mitologia...:

I Romani, famosi per il loro rispetto nei confronti delle divinità e dei culti dei popoli a loro sottomessi, se ne appropriavano con estrema disinvoltura, e, con qualche ritocco, li adattavano alle proprie credenze.

La figlia di Inaco, la dèa che visita Teletusa, è, in realtà, Iside, la grande Dèa egizia sorella e moglie di Osiride. Seth  aveva ucciso Osiride gettandolo  in mare chiuso in un'arca. Iside, dopo averlo a lungo cercato, aveva recuperato il cadavere. Ma Seth lo smembrò in quattordici pezzi che sparse per tutto l'Egitto. Iside li cercò, li riunì e seppellì il Dio. Qui Iside è identificata con Io, la Dèa-giovenca, figlia del fiume Inaco, amata da Giove. Intorno a lei, gli Dèi del pantheon egizio.

Pasifae era la moglie di Minosse, re di Creta, e dalla sua insana passione  per il toro sacro nacque il mostruoso Minotauro. Per ingannare il toro, si era rivolta al Leonardo da Vinci dell'epoca, Dedalo, che  fabbricò  una vacca meccanica in cui la regina di Creta si nascose per congiungersi all'amato.

Non bisogna lasciarsi ingannare dal repertorio di banalità, metafore zoomorfe comprese, sciorinato nella prima parte del monologo di Ifi... Ovidio mostra bene, nella seconda parte, di essersi posto il problema del "diverso da noi", della sua incolpevolezza, della sua disperazione, dell'innocente costretto a vivere nella menzogna, dell'impotenza che supera i mèri confini sessuali e diventa il marchio di una vita. Certe premesse erano diventate doverose già alla sua epoca. La penetrante sensibilità della sua intelligenza  ne riscatta  l'opportunistica rozzezza.  E non sarà l'unica volta. Tanto più apprezzabile in uno scrittore per cui l'aggettivo "maschilista" è una carezzina!

Spesso intrecciata con il famoso racconto biblico  di Giuseppe, almeno per quanto riguarda  l'Occidente, questa storia si ripete, si rinnova, si perpetua in numerosi "tipi" fiabeschi. Anche in Medio ed Estremo Oriente.

L'invenzione narrativa dei gemelli, eterno feticcio del "doppio", risolve drammaturgicamente molte di queste varianti fiabesche. La fanciulla travestita da uomo supera le "prove" e conquista la bella principessa; il fratello gemello le si sostituisce a tempo debito. Il miracolo della trasformazione di Ifi si ripete solo nelle fiabe orientali e balcaniche. Io, almeno, ho trovato esempi simili solo in quell'area geografica .


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