venerdì 24 maggio 2013

Erzsébet Bathory, la "Contessa Dracula" Ungherese

Questo è il racconto - il più possibile al di là della leggenda - della “vita ed opere” di una Donna realmente vissuta che fu accusata di crimini terribili, di aver seviziato ed ucciso più di seicento ragazze, alcune delle quali bambine addirittura, inseguendo - si narra - il folle sogno dell'eterna giovinezza.
Libri, film e fumetti ne hanno tramandato le “gesta”, creato e poi modificato il personaggio, spesso assecondando le derive voyeuristiche proprie e/o quelle del pubblico a cui si rivolgevano.
Possiamo solo tentare di separare la leggenda dalla cronaca, il giudizio da un effettivo approfondimento degli eventi, senza trascurare l'intreccio degli interessi economici e politici che troppo spesso fanno da sfondo alla genesi di  certe popolari “leggende nere”, cercando di comprendere, inoltre, quanta parte abbiano in questa storia tare ereditarie, patologia, e devastanti esperienze traumatiche, reali o presunte. Né possiamo dimenticare, magari in combinazione con alcune delle altre ipotesi, la più semplice e terribile: forse, questa storia, all'epoca, non era così straordinaria, ovvero fuori dall'ordinario. 
Sembrerebbe che personaggi simili seguano la stessa parabola... Gilles de Rais  (il Barbablu francese, compagno d'arme di Giovanna D'Arco, di cui parlerò in seguito) spese una fortuna regale alla ricerca della pietra filosofale... Ma sarà tutto vero? Oppure, nel momento in cui un personaggio di alto rango - con un enorme patrimonio e parenti “affettuosi” appoggiati da amici influenti - in un delirio di onnipotenza, faceva ostentata (ed imbarazzante) indigestione di quei vizi, di quelle stesse perversioni e di quella feroce immunità che condivideva con larga parte degli appartenenti alla medesima casta, veniva, magari, “sacrificato”, quando ciò conveniva politicamente ed economicamente alla maggior parte dei suddetti parenti, amici ed ex-protettori, soddisfacendo al contempo, anche se per un solo giorno, l'atavica sete di giustizia e di vendetta del popolino oppresso, umiliato, sfruttato, schiavizzato e “oggettivizzato” dalla fame di sangue e dalle perversioni dei Signori? Una bella ripulita, magari accompagnata da un'esemplare confessione, e poi la casta continuava ad esercitare il suo potere incontrollato, con maggiore discrezione e un'ossessione omicida numericamente meno imbarazzante. Ma vedremo in seguito.





L'inizio è simile ad una fiaba, la fiaba di una piccola, fortunata principessa.
Nel 1560, in un villaggio ungherese, nacque una bella bambina.
La neonata, Erzsébet Bathory, non era una semplice contadinella: il suo villaggio natale, con molti altri, apparteneva alla nobile famiglia dei Conti Bathory, del cui immenso patrimonio costituiva solo una briciola. I suoi genitori erano discendenti e parenti di grandi personaggi di sangue reale: sua madre era sorella del Re di Polonia, e i Bathory avevano legami di sangue con gli stessi Sovrani di Ungheria.
La piccola venne condotta in Transilvania, a Ecsed, dove, nel grande castello di famiglia, fu allevata come una regina, anzi, meglio di una regina, perché non tutte le nobildonne del tempo potevano vantare la fine educazione che ella ricevette; molte fra loro erano addirittura analfabete. Erzsébet, invece, in tenerissima età, era non solo capace di leggere e scrivere, ma studiava latino, greco, storia...
Aveva poco più di dieci anni quando il suo futuro fu stabilito: avrebbe sposato Ferencz Nadasdy, di pochi anni più grande di lei, rampollo di una famiglia nobile e ricca, anche se non quanto quella dei Bathory a cui era lontanamente imparentata. Ed è per questo motivo che, secondo l'uso ungherese, Erzsébet conservò sempre il nome della propria Casata di origine. Alla base del contratto di nozze, naturalmente, comuni interessi politico-economici.
Il padre morì improvvisamente nel 1571, quando la bambina aveva undici anni, e, in attesa di raggiungere l'età giusta per le nozze, Erzsébet fu condotta a Sarvar, in Ungheria, in una proprietà della famiglia del suo futuro sposo, perché la sua educazione  (o meglio, il suo addestramento, in questo caso) venisse completata secondo gli usi ed i cerimoniali della Casata in cui stava per entrare.
Si racconta che, a tredici anni, Erzsbét partorì una figlia illegittima, illegittima e certamente neanche figlia del futuro marito, che, in quegli anni, completava i suoi studi lontano da Sarvar. Della neonata, comunque, non si conoscono altre notizie: chi la dice figlia di un “plebeo” locale, chi frutto dell'amore di Erzsébet per un giovane nobile di altissimo rangoComunque, nel 1575, andò sposa a Ferencz Nadasdy, come stabilito. La cerimonia fu fastosa, degna di due rampolli di sangue reale.
Per dieci lunghi anni, da questa unione non nacquero figli. Poi, finalmente, nel 1585, Erzsébet diede alla luce una bambina. E, nei successivi dieci anni, partorì altre due figlie femmine e il piccolo Pal, l'attesissimo erede. Ma, in questi anni in cui diveniva finalmente e ripetutamente madre (e pare fosse una madre attenta e sollecita), qualcosa di “straordinario”, di oscuro e terribile, stava già segnando la sua vita.
Perché fu  proprio in questi anni, anni teoricamente, di appagamento e serenità, che Erzsébet - secondo le accuse che le vennero rivolte e la leggenda che è giunta sino a noi - incominciò a dedicarsi alla stregoneria, alla magia nera, e all'alchimia.
La Contessa era molto bella, era intelligente, sappiamo che aveva una cultura notevole, avendo potuto usufruire di un'istruzione decisamente superiore rispetto alle altre rampolle di nobili casate. Dieci anni e tre figlie dopo una gravidanza indesiderata, aveva adempiuto al massimo o, forse, all'unico dovere che le venisse richiesto: aveva partorito l'erede maschio. E' vero, era spesso sola, perché il marito era continuamente impegnato in campagne militari, ma ho il sospetto che non morisse di dolore e di nostalgia, soprattutto dopo l'agognato decesso dell'odiata suocera, una donna dura, autoritaria ed analfabeta con cui non ebbe mai un buon rapporto. Padrona e signora assoluta del Castello di famiglia, godeva di grande libertà. Che cosa le successe? Dicono che prese a circondarsi di strani personaggi, suoi servitori, che la iniziarono di nascosto alle Arti magiche ed alla stregoneria, divenendo, in seguito, suoi complici e sicari.
In una lettera inviata al marito impegnato in una campagna militare, spiega, nel dettaglio, una pratica magica per avere la meglio sul nemico. Gli suggerisce di uccidere una gallina nera, con un bastone bianco, e di spargerne il sangue sul nemico, oppure su di un capo di vestiario che gli appartenesse. Quindi, per il marito non era affatto un segreto ch'ella si dedicasse a certe Arti oscure. E qui veniamo ad un altro aspetto della vicenda che mi pare piuttosto controverso e contraddittorio.
Da una parte, si tramanda l'evoluzione negli anni di una innata vena sadica di Erzsébet, sfociata, poi, nel delirio omicida. Gli argomenti a sostegno dell'accusa riguardanti questo periodo (stiamo parlando di una Erzsébet non ancòra assassina) in realtà, avrebbero potuto insinuare forti dubbi sui tre quarti della nobiltà dell'epoca: trattava con estrema volubilità e durezza le ragazze al suo servizio, punendole severamente anche per infime negligenze, vere o presunte; le obbligava ad accontentare i suoi capricci più fantasiosi e ad obbedire ad ordini assurdi. Bisogna dire che, secondo altre fonti, si sottolinea come il marito non fosse da meno, anzi, che le fosse complice e istigatore.

( continua )

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